Il web è oggi un ammasso gigantesco di pagine ed informazioni, una accanto all’altra (o sotto, a seconda della struttura), alle quali i diversi motori di ricerca cercano di dare un senso logico, stillando poi una classifica della quale soltanto i primi 3 risultati (5 per essere buoni) ricevono il meritato traffico.
Meritato è una parola che credo sia corretta, in quanto arrivare al primo posto in Google & Co. e posizionare il proprio sito web sui motori di ricerca oggi risulta abbastanza complesso, e quindi degno di nota (e di traffico).
Non bastano più come prima, infatti, un ammasso di parole chiave per potersi posizionare al top. Servono contenuti ben scritti, semanticamente correlati (da qualche mese a questa parte sembra andare di moda questo termine nella SEO, la semantica, benché la SEO Semantica esista fin dagli albori, pur se con sfaccettature diverse) e logicamente interconnessi tra loro.
Insomma, quello che oggi i motori di ricerca chiedono ad un autore sono contenuti ricchi, e sicuramente utili per l’utente.
Ma vorrei ritornare alla prima frase di questo articolo: “il web è un ammasso gigantesco di pagine, una accanto all’altra”. Non so quanti degli articoli scritti sul web hanno almeno il 50% dei loro lettori che arrivano alla fine dell’articolo.
Al contrario di un libro che viene acquistato, quindi letto (di solito) dall’inizio alla fine, il web offre contenuti ed articoli per lo più gratuiti, spesso scritti principalmente per posizionarsi meglio ed arrivare a quella ******* prima pagina. Ma l’autore ha davvero voglia di scrivere? E chi legge, è davvero interessato a quello che è scritto?
In questo ammasso gigantesco di pagine, sembra che si perda il valore della scrittura e delle parole, che perdono la loro poesia diventando mere keywords, topics e anchors. Ovviamente non bisogna generalizzare, ed esistono moltissimi contenuti che vale la pena leggere.
Il problema non è questo. Credo il problema sia dato da due aspetti fondamentali: il “freemium” (o marketing del gratuito, come spesso viene chiamato), che sembra andare a braccetto con la SEO (generatrice incallita di contenuti user friendly), e i motori di ricerca, che incentivano la creazione di contenuti anche quando c’è un sovraffollamento tale che le estensioni di dominio tradizionali non sono più bastate per tutte le infinità di parole disponibili nel mondo.
E’ come dire alle famiglie in Cina, dove c’è un sovrappopolamento pazzesco, di continuare a fare figli, e di farli sempre meglio.
Milioni di contenuti, dunque, per un solo posto disponibile in cima. Ma ha senso? Oppure qualcosa sfugge di mente? Un blogger, un proprietario di un sito, nel suo piccolo, continua a scrivere, credendo così di fare bene al suo sito, per posizionarlo meglio. Diciamoci la verità, l’80% (sparo un numero a caso) circa di proprietari di un sito che producono contenuti, lo fanno principalmente per quello, o per cercare di accaparrarsi qualche altro cliente.
Ma principalmente, credo, per posizionarsi. E molto di rado perché, oltre ad avere la vena da commerciante, ha anche quella dello scrittore.
A meno che non è un’azienda grossa, che paga qualcuno per farsi scrivere i contenuti.
Il problema è che il singolo proprietario del sito non pensa che, come lui, esistono milioni di altre persone che staranno producendo contenuti, simili se non identici, per raggiungere gli stessi identici obiettivi.
In un mondo sempre più focalizzato sull’immagine, intasato dai contenuti, sembra stupido voler far produrre contenuti sempre nuovi, riempiendo così il web di pagine scopiazzate qui e li, un po’ da wikipedia, un po’ da altre parti, e modificate secondo le proprie “esigenze semantiche”.
Questa è la SEO oggi. Questa è la ricerca oggi. Questa è la mentalità mondiale, che segue quello che le viene detto senza ragionare un minimo se questo sia giusto oppure no. Annebbiata dai soldi, dai guadagni, e dalla gloria.
Non sempre, ovviamente, è così. Spesso si trovano anche dei contenuti interessanti e utili (come lo smettere di fumare, che, almeno per me, forse è stato e sarà utile). E’ giusto ovviamente guardare all’importanza del consumattore, dell’utente, cercando di dirigere tutti gli sforzi verso il miglioramento della sua esperienza. Ma fino a che punto?
Sarebbe forse meglio fermarsi un attimo a pensare? Oppure questa produzione smisurata di contenuti e questo sforzo sovraumano è per spingere all’advertising (vedi per esempio adwords), forma che consente molto più rapidamente (e forse efficacemente) di raggiungere i propri obiettivi?