Metamorfosi e Teatro in “A Midsummer night’s Dream” di Shakespeare

Shakespeare “A Midsummer Night’s Dream”

Tesi di Laurea Magistrale in Lingue Moderne, Letterature e Traduzione Letteraria

Di Eugenio Tommasi Contenuti protetti con Licenza Creative Commons.

La metamorfosi è un tema ricorente nell’opera A Midsummer Night’s Dream di William Shakespeare, tanto che le trasformazioni sembrano avere luogo durante tutta la commedia, e si ricollegano a ciò che René Girard chiama “istinto mimetico” nell’uomo, ovvero il desiderio voler imitare qualcuno che prendiamo come “idolo”, che ci porta a diventare come lui, arrivando quasi a trasformarci in questa persona ed avere i suoi stessi desideri e sogni. Questa tesi vuole dunque affrontare il tema delle metamorfosi, nel teatro così come nella vita di ogni giorno, partendo dai giochi dei bambini fino agli adulti, della trasformazione come mutamento costante e condizione necessaria dell’uomo, basandomi sulle parole del più grande regista di tutti i tempi, William Shakespeare.

INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO I – VITA E METAMORFOSI: FORMARSI ATTRAVERSO L’IMITAZIONE

1.1    DALLA MIMESI ALLA METAMORFOSI

1.2    GLI AMANTI

1.3    GLI ARTIGIANI ATTORI

1.4    ‘FOOLS’ AND ‘LOVERS’: LE DUE TRAME SI UNISCONO

CAPITOLO II – ‘THOU ART TRANSLATED’

2.1  BOTTOM E LUCIUS

2.2  LO SPOSO ANIMALE

2.3  PUCK

2.4  MIDSUMMER NIGHT

CAPITOLO III – ‘THE MOST LAMENTABLE COMEDY’: TEATRO TRA GIOCO, RITO, E METAMORFOSI

3.1  DAL GIOCO AL RITO

3.2  ‘LET ME PLAY’!

3.3  CATARSI COME TRASFORMAZIONE E IDENTITA’ DELL’ATTORE

CONCLUSIONE: ‘THE BEST IN THIS KIND ARE BUT SHADOWS’

BIBLIOGRAFIA

INTRODUZIONE

“Man is but an ass, if he go about to expound this dream” (VI, i, 203-204). Come dice Young, “this might serve as a warning to commentators”[1].

Da sempre si è cercato di dare un significato ai sogni, si è cercato di capire quello che essi volessero realmente mostrare, di estrapolare da essi un senso che fosse consono alla logica e alla razionalità. Allo stesso modo, da sempre, ogni opera letteraria ha avuto una sua interpretazione critica. Si è cercato anche qui di trovare un significato a ciò a cui l’opera, soltanto metaforicamente, alludeva. I critici hanno cercato di interpretare opere d’arte, poesie o qualsiasi altra produzione di una mente creativa, pretendendo di dare al proprio punto di vista un valore universale. Ma l’opera d’arte, come anche il sogno, hanno un significato che può essere benissimo afferrato così, semplicemente, senza nessuna mediazione. La mente dell’artista, così come quella del sognatore, concepiscono qualcosa che è godibile di per sé, che può essere colto, magari solo inconsciamente, dal cuore e dalla mente di ognuno di noi.

Forse tutto questo può essere riferito anche alla commedia A Midsummer Night’s Dream ed alla sua comprensione. Anche in questo caso, infatti, numerosissimi critici hanno scritto saggi e trattati, avanzando interpretazioni sui vari elementi dell’opera o sull’opera nel suo insieme. E’ possibile, tuttavia, accostarsi ad essa, almeno in un primo momento, in maniera diretta, lasciarla parlare alla nostra intuizione, al “cuore”.

Un po’ come l’Alchimista suggerisce di fare al giovane protagonista di un romanzo di Paulo Coelho per comprendere il contenuto della Tavola di Smeraldo, che raccoglie tutta la scienza dell’opera della creazione:

“Io sono un Alchimista perché lo sono,” […] “Ho appreso la scienza dai miei avi, che la appresero dai loro avi, e così via fino alla creazione del mondo. A quell’epoca, tutta la scienza della Grande Opera poteva essere scritta su un semplice smeraldo. Ma gli uomini non diedero importanza alle cose semplici e cominciarono a scrivere trattati, interpretazioni e studi filosofici. Cominciarono anche ad affermare di conoscere il cammino meglio degli altri. Ma la Tavola di Smeraldo è ancora viva.”

“E’ come il volo degli sparvieri, – egli continua: – non va compreso con la sola ragione”:

“La Tavola di Smeraldo è un passaggio diretto verso l’Anima del Mondo. […] Forse, se ti trovassi in un laboratorio di alchimia, questo sarebbe il momento giusto per studiare la maniera migliore di capire la Tavola di Smeraldo. Ma sei nel deserto. E allora immergiti nel deserto. Serve a comprendere il mondo altrettanto bene di qualsiasi altra cosa sulla faccia della terra. Non c’è bisogno che tu capisca il deserto: basta che osservi un semplice granello di sabbia e vi scorgerai tutte le meraviglie della Creazione.”

“Come posso immergermi nel deserto?”

“Ascolta il tuo cuore. Esso conosce tutte le cose, perché è originato dall’Anima del Mondo, e un giorno vi farà ritorno.”[2]

Sicché mi sono inizialmente accostato a A Midsummer Night’s Dream in maniera diretta e semplice, senza preliminari condizionamenti di studi critici. E mi è sembrato di cogliere in questa commedia di Shakespeare la presenza costante e varia di un tema centrale, quello della trasformazione, del cambiamento, della metamorfosi. Solo successivamente ho confrontato questa intuizione con gli approfondimenti e le interpretazioni altrui, cercando conferme o smentite, e comunque chiarendo a me stesso i riferimenti, i dettagli e le implicazioni della prima impressione.

La metamorfosi, dunque. Per il dizionario, questo termine è sinonimo di trasformazione [3]: nella mitologia classica, nelle fiabe e racconti e in opere letterarie, essa è considerata come trasformazione soprannaturale di un essere o di un oggetto in un altro di diversa natura; nella scienza invece essa è vista come mutamento, nella forma e nella struttura, di un organismo vivente nelle varie fasi del suo sviluppo, cambiamenti attraverso i quali un organismo si sviluppa, passando da uno stadio immaturo ad uno adulto.

Noi stessi ci trasformiamo, mutiamo le nostre sembianze, crescendo e diventando adulti; allo stesso modo si comportano le piante e tutte le specie animali. Un esempio molto noto di metamorfosi totale è quello del bruco che si trasforma in farfalla.

In letteratura, le prime descrizioni di trasformazioni soprannaturali di esseri o oggetti in altri di diversa natura, e particolarmente di uomini trasformati in animali, risalgono all’antichità classica. Circe nell’ Odissea di Omero trasforma i compagni di Ulisse in porci. Ne L’asino d’oro di Apuleio Panfila si trasforma in gufo dopo essersi cosparsa con un unguento; Lucio, cercando di imitarla, si cosparge anch’egli con un unguento e si trasforma in asino; Sant’Agostino nella Civitas Dei riporta che gli stregoni italiani offrivano ai viaggiatori un formaggio mescolato con una droga che li mutava in somari, facendosi così trasportare i bagagli. Altro esempio letterario in cui compare il mito della trasformazione sono le Metamorfosi di Ovidio, dove si narra di passaggi di dei in uomini o in animali, ma anche di esseri umani in vegetali. Trasformazioni che in diversi contesti assumono diversi significati, quali la valorizzazione o la condanna, la temporaneità o la definitività, metamorfosi collettive o altre individuali, volontarie e personali o attraverso un tramite (che poteva essere una divinità, o uno stregone).

Nella stregoneria europea vi sono altri esempi di trasformazioni in animali. Altri esempi ancora li troviamo nel folklore, risalenti questi ultimi – secondo le interessanti ricostruzioni degli studiosi – ad antichissime pratiche e credenze.

Di tutto questo c’è traccia in A Midsummer Night’s Dream. Mi è sembrato perciò appropriato orientare la riflessione verso un obiettivo del genere: verificare cioè ed esplicitare la presenza nell’opera del tema della trasformazione. Già nel titolo della commedia c’è un termine che sembra suggerire un simile percorso di lettura: “dream”, appunto. Il sogno, come sappiamo, è infatti esso stesso un processo di metamorfosi: attraverso alcune specifiche procedure, che Freud ha dettagliatamente analizzato, esso trasforma i significati comuni della realtà e gli eventi della nostra vita quotidiana rendendoli a prima vista incomprensibili. Solo dopo una approfondita analisi lo psicanalista riesce a riportare alla luce i significati nascosti del sogno. Lo stesso discorso sembra valere, come suggerisce ancora Freud, per l’opera d’arte [4]: essa mette in luce aspetti inconsci della nostra personalità e della nostra vita, esprimendoli però in una forma metaforica che necessita di un lavoro critico di “traduzione” per essere compresa [5]. Un simile accostamento tra l’elaborazione del sogno e la creazione artistica potrebbe riguardare in realtà anche tutte le opere di Shakespeare, ma la commedia A Midsummer Night’s Dream appare, sotto tale aspetto, particolarmente rappresentativa: in questa commedia, infatti, Shakespeare è riuscito a trasformare un sogno in un opera d’arte, rendendolo così più accessibile a tutti.

Molti critici, tra cui J. B. Priestley, hanno sottolineato le caratteristiche esteriori del sogno presenti in quest’opera: la sua azione è governata dalla passione e dalla follia notturna; i suoi personaggi sembrano essere sotto l’influsso magico di una visione, o di camminare e parlare nel sonno; lo sfondo è fatto di ombre, che a volte si immergono nella natura e nell’amore, ma sempre come qualcosa di sfuggente, che un attimo dopo svanisce come per incanto; e l’intera commedia, con i suoi continui richiami alle visioni, all’immaginazione, ai sogni e ad antiche favole fantastiche, assomiglia quasi ad una allucinazione, come dice Priestley “a masque of strange shadows and voices heard in the night[6].

Ma più vicini alle caratteristiche strutturali del sogno (trasformare la realtà in allusioni metaforiche) sembra portarci un passaggio presente nell’opera stessa. Nella parte finale della commedia Puck si scusa per i contenuti che potrebbero risultare offensivi e chiede al pubblico di considerare l’intera commedia come un sogno, mostrando quasi la consapevolezza che il sogno nasconde in realtà i nostri desideri più vili, li maschera, e solo attraverso le sue strane metamorfosi riesce a renderli accettabili. Sicché egli invita il pubblico a far finta di aver dormito per l’intera durata della commedia, e a considerare l’intera opera come ad un sogno.

Tuttavia mi sembra che nella commedia A Midsummer Night’s Dream la metamorfosi sia presente non solo per quest’opera di trasformazione metaforica della realtà che in essa si rappresenta, ma anche perché in essa compaiono – ed è l’aspetto che mi propongo di analizzare – tipi diversi di metamorfosi (dalla metamorfosi come potere magico, alla metamorfosi subita, a quella desiderata, a quella attuata per gioco, a quella vissuta) che la realtà e la cultura sottopongono alla nostra attenzione.

Cercherò quindi di esaminare il Dream ed i suoi vari personaggi in relazione a tali metamorfosi, per mostrare come tutta l’opera, con i suoi continui richiami alla trasformazione, sia essa stessa, come suggerisce Marjorie B. Garber, allegoria delle metamorfosi che avvengono nella vita di ognuno, che segnano il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta [7]; mostrerò anche, basandomi principalmente sugli studi di René Girard sull’argomento, come questa spinta alla trasformazione sia spesso frutto di un processo di mimesi, e cioè che l’imitazione di qualcuno che viene preso come modello, porti alla fine a trasformarsi realmente in quel modello [8]. Puck, che nell’opera racchiude l’essenza della metamorfosi, consentirà un collegamento alla tradizione celtica e ai riti di maggio. Bottom, e la sua trasformazione in asino, ci riporterà alla mitologia classica, alle Metamorfosi di Apuleio e di Ovidio, alla favola di Amore e Psiche, al folklore. Infine cercherò di illustrare una possibile interpretazione della visione di Shakespeare sul teatro, e come, con questa commedia, egli sia riuscito a rappresentare la vera essenza del teatro, e cioè la metamorfosi.

VITA E METAMORFOSI: FORMARSI ATTRAVERSO L’IMITAZIONE

 

I know a girl, she worked in a store,

she knew not what her life was for, she barely knew her name

They tried to tell that she would never be

as happy as a girl on a magazine, She bought it with her pay

(Slow Cheetah, Red Hot Chili Peppers)

A Midsummer Night’s Dream è una commedia sull’amore, ma nella quale i vari intrecci sembrano essere tenuti insieme dal tema preponderante della trasformazione, della metamorfosi. Come in Lavoisier, qui “tutto si trasforma”, e in ogni momento della commedia, così come accade anche in ognuno di noi nella vita reale di ogni giorno, si allude ad una qualche trasformazione che avviene nei protagonisti. Ad una prima lettura dell’opera, queste trasformazioni si esemplificano e mostrano il loro lato più misterioso ed affascinante nella metamorfosi di Bottom in un asino. Ma, in realtà, questa non è che una, la più facilmente individuabile, di tutte le metamorfosi che compaiono nella commedia.

Per diversi critici, tra cui Garber, il processo di trasformazione dei vari personaggi di A Midsummer Night’s Dream nel passaggio dalla corte alla foresta e di nuovo alla corte, rappresenterebbe il passaggio dall’istintività e innocenza dell’infanzia alla razionalità e maturità della vita adulta [9]. Shakespeare, in altre parole, metterebbe in scena in quest’opera il motivo fondamentale della crescita umana e dei suoi cambiamenti.

Alcune fondamentali trasformazioni compaiono subito e si riferiscono alle vite di Teseo e Ippolita: Teseo, guerriero che ha sconfitto Ippolita con la sua spada, è adesso al governo di Atene, e Ippolita, la combattente amazzone, sta per diventare sua moglie. Come dice Garber, all’inizio della commedia queste trasformazioni sono già avvenute, e fungono da prologo per le trasformazioni che devono ancora avvenire.

Quando Ippolita afferma che:

 

Four days will quickly step themselves in night,

Four nights will quickly dream away the time   (I, i, 7-8) [10]

 

sta accennando appunto ad una trasformazione, come se il tempo fosse un’illusione, soggettiva e breve come un sogno, tanto che quattro notti “will quickly dream away the time”; accorciando così, come succede anche nel prologo di Romeo e Giulietta (The fearful passage of their death-mark’d love, / And the continuance of their parents’ rage, / Which, but their children’s end, nought could remove,/ Is now the two hours’ traffic of our stage; / The which if you with patient ears attend, /What here shall miss, our toil shall strive to mend), il tempo della realtà per i propri fini, trasformando i quattro giorni di attesa in due ore di rappresentazione teatrale.

Anche la foresta stessa potrebbe formare parte di questo schema di trasformazioni: il litigio tra Titania e Oberon porta infatti questo tipo di metamorfosi; quello che sembrava essere una foresta incantata, ora è tutta disordinata:

 

And thorough this distemperature we see

The seasons alter: hoary-headed frosts

Fall in the fresh lap of the crimson rose,

And on old Hiems’ thin and icy crown

An odorous chaplet of sweet summer buds

Is, as in mockery, set. The spring, the summer,

The childing autumn, angry winter, change

Their wonted liveries; and the mazed world,

By their increase, now knows not which is which.   (II, i, 107-114)

A Midsummer Night’s Dream ci mostra dunque un mondo fantastico, da sogno, la cui essenza è il cambiamento, la trasformazione. Vengono in mente, a proposito di tali sconvolgimenti della natura, di tali trasformazioni, altri sconvolgimenti, stavolta nella natura umana, in particolare in un periodo particolare della vita, così come vengono descritti da Jean-Jacques Rousseau:

Come il mugghiare del mare precede da lontano la tempesta, così questa burrascosa rivoluzione si annuncia col mormorio delle passioni nascenti; un sordo fermento avverte dell’approssimarsi del pericolo. Un cambiamento dell’umore, frequenti impeti di collera, una continua agitazione di spirito, rendono il bambino pressoché indisciplinabile. Diventa sordo alla voce che lo rendeva docile; nella sua febbre sembra un leoncello; misconosce la sua guida, non vuol più essere governato. Ai segni morali di un umore che si altera si uniscono dei cambiamenti sensibili nell’aspetto. [11]

 

Credo che non sia fuori luogo paragonare la foresta di A Midsummer Night’s Dream e le ingarbugliate e strane vicissitudini che in essa si compiono con il periodo della vita umana che contiene la metamorfosi per eccellenza, la “seconda nascita” per dirla con Rousseau, cioè l’adolescenza/giovinezza.

Metamorfosi che, nell’allegoria degli amanti ateniesi, rappresenta appunto il passaggio da uno stato di innocenza, l’adolescenza, in cui i desideri e i sogni sembrano non avere limiti, in cui è l’amore e il sentimento a prevalere, e le regole e le leggi di una società patriarcale ed esigente come Atene sembrano non avere alcun potere:

 

LYSANDER

If thou lovest me then,

Steal forth thy father’s house tomorrow night;

And in the wood, a league without the town

[…]

There will I stay for thee.   (I, i, 163-168)

ad un altro più maturo, in cui gli amanti, consciamente o meno, riescono a trovare un compromesso con le leggi che governano la ragione, e a concludere i loro “giochi” adolescenziali con l’istituzione del matrimonio.

 

DEMETRIUS

But, my good lord – I wot not by what power,

But by some power it is – my love to Hermia,

Melted as the snow, seems to me now

As the remembrance of an idle gaud

Which in my childhood I did dote upon.   (IV, i, 163-167)

La commedia, tuttavia, così ricca di immagini evocative e di richiami simbolici si presta, oltre che ad una lettura, per così dire, letterale, anche ad interpretazioni più significative, che rimandano ad importanti teorie o apporti culturali.

Numerosi studiosi hanno utilizzato, ad esempio, la concezione psicanalitica ed i principi presenti nella teoria freudiana per attribuire ad A Midsummer Night’s Dream un significato più profondo [12]. Al di là dell’analisi dettagliata di singoli aspetti (l’interpretazione dei sogni che vi vengono raccontati, delle relazioni tra i singoli personaggi, dei complessi e dei simboli che vi compaiono), essi vedono nella commedia la rappresentazione di istanze fondamentali della personalità umana.  I due luoghi, anche scenografici, nei quali si svolge la storia, cioè la corte di Atene, dove, come si è detto, è la legge e quindi la ragione a comandare, e la foresta, luogo magico popolato da folletti, dove a regnare sono i desideri e gli istinti dell’uomo, rimanderebbe alla contrapposizione tra due diverse istanze psichiche presenti nell’uomo.

La città rappresenta quello che Freud chiama Super-io, un’entità presente nella nostra psiche, che ha due funzioni: quella dell’auto-osservazione, che ci osserva giudica e punisce, e quella della coscienza morale. In pratica, come scrive Freud, “io avverto l’inclinazione di fare una cosa da cui mi riprometto piacere, ma non la faccio perché la mia coscienza non lo permette” [13], intendendo per coscienza quell’insieme di leggi e regole sociali che lo Stato, o in questo caso “la città”, mi impone di rispettare e alle quali, anche se inconsapevolmente, mi adeguo.

La foresta invece, sempre per la psicoanalisi, può essere paragonata all’Es. Sempre secondo Freud l’Es

è la parte oscura, inaccessibile, della nostra personalità […]. All’Es ci avviciniamo con paragoni: lo chiamiamo un caos, un crogiuolo di eccitamenti ribollenti. […] Attingendo alle pulsioni, l’Es si riempie di energia, ma non possiede un organizzazione, non esprime una volontà unitaria, ma solo lo sforzo di ottenere soddisfacimento per i bisogni pulsionali nell’osservanza del principio del piacere. Le leggi del pensiero logico non valgono per i processi dell’Es, soprattutto non vale il principio di contraddizione. Impulsi contrari sussistono uno accanto all’altro, senza annullarsi o diminuirsi a vicenda […]. Non vi è nulla nell’Es che si possa paragonare alla negazione, e si osserva con sorpresa un’eccezione all’assioma dei filosofi che spazio e tempo sono forme necessarie dei nostri atti mentali. […] L’Es non conosce giudizi di valore, né il bene e il male, né la moralità. [14]

Sicché nello sviluppo della vicenda, nella trasformazione che viene descritta potremmo riconoscere il passaggio dal predominio dell’Es al predominio dell’Io, passaggio che rappresenta secondo Freud il compito principale della maturazione umana: cioè il raggiungimento di una mediazione tra le esigenze istintuali e le esigenze di natura razionale e morale presenti nella società.

Ancora più ricca di suggestioni sembra essere la lettura di A Midsummer Night’s Dream che si avvale delle conoscenze relative all’ambito antropologico. Tale lettura sembra anche più consona rispetto al testo, vista la notevole presenza in esso di elementi tratti dal folklore, dalla mitologia e dalle usanze popolari.

Il rimando più diffuso si riferisce ai riti di passaggio. A Midsummer Night’s Dream metterebbe in scena cioè, più o meno consapevolmente,  un vero e proprio rito di passaggio e utilizzerebbe lo schema, la simbologia, il significato di tale rito.

I riti di passaggio costituivano, nelle società tribali, un importante momento socio-culturale. Essi sancivano il mutamento dello status sociale di un individuo o di un gruppo, si avvalevano generalmente di simboli ed erano distinti in tre fasi precise. In un primo momento, gli iniziandi venivano separati nettamente dal precedente contesto sociale e inseriti in uno spazio e in un tempo sacri e ben delimitati. Seguiva poi una fase di transizione, durante la quale gli iniziandi attraversavano un periodo e una zona fisica di ambiguità, una sorta di limbo sociale, per essere poi, alla fine, riaggregati nella società secondo un nuovo status.

La fase di segregazione degli iniziandi, spesso nella foresta, implicava una simbolica perdita della loro identità (ad esempio, erano considerati scuri, invisibili, venivano privati del proprio nome e dei propri vestiti e imbrattati di fango, così da renderli indistinguibili dagli animali) ed un sovvertimento delle usanze e delle regole, la cui infrazione diveniva normale ed anzi richiesta. Lo scopo di tale capovolgimento era quello di rendere evidente a tutti i membri della società che l’alternativa all’ordine è il caos e che dunque la cosa migliore per tutti è l’ordine.

Sembrano evidenti le analogie con quanto accade agli amanti nel bosco di A Midsummer Night’s Dream, che dopo un iniziale allontanamento dalla società ateniese, e dopo una fase transitoria nel bosco, dove a regnare è il caos e i protagonisti sperimentano una profonda crisi d’identità,

PUCK

Shall we their fond pageant see?

Lord, what fools this mortals be!

[…]

And those things do best please me

That befall propost’rously.   (III, ii, 114-121)

termineranno le loro avventure con il ritorno all’ordine e alla concordia:

THESEUS (To Demetrius and Lysander)

I know you two are rival enemies.

How come this gentle concord in the world,

That hatred is so far from jealousy

To sleep by hate, and fear no enmity?   (IV, i, 141-144)

How come this gentle concord in the world?; come sono riusciti, i quattro giovani, a passare da adolescenza ad età adulta, e ritrovare così l’ordine razionale che guida e frena gli istinti? Attraverso la foresta appunto, che come ho già detto rappresenterebbe la parte subconscia e irrazionale della nostra mente, e quindi anche i nostri sogni e i nostri desideri. E’ proprio nella foresta infatti, che Elena, che all’inizio della commedia smania per voler diventare in tutto e per tutto uguale al suo modello, Ermia, e poter così conquistare il cuore di Demetrio, vive ciò che aveva desiderato da tempo, e cioè la trasformazione in Ermia, riuscendo alla fine nel suo intento di piacere al suo amato Demetrio. Il desiderio di imitare qualcun altro è chiamato processo mimetico, ed è ciò che permette all’uomo di svilupparsi, di crescere e trasformarsi, diventando adulto. Il modello che prendiamo come esempio da seguire nelle nostre azioni, sia esso il padre, l’amico o un attore, ci plasma talmente tanto che, come spesso accade, ci “trasformiamo” in lui, diventando simili a lui in ogni nostro gesto. Tra l’altro l’imitazione è una delle prime tecniche utilizzate dagli esseri umani per insegnare, per tramandare la cultura di un intero popolo ai giovani appartenenti a quello stesso popolo, e farli infine entrare nel mondo degli adulti.

1.1 DALLA MIMESI ALLA METAMORFOSI

Una capacità che spinge gli uomini e permette loro di trasformarsi sembrerebbe dunque essere la capacità mimetica. Tale predisposizione ad assumere come modello un’altra persona e tendere a diventare come lei è stata studiata da psicologi e filosofi. Freud, ad esempio, la mette tra gli elementi fondamentali della sua teoria psicanalitica, definendola processo di identificazione. Egli la spiega come meccanismo psicologico che permette al bambino di superare il complesso edipico: identificandosi con il padre, il bambino supera l’ambivalenza nei suoi confronti in relazione al suo primo oggetto di attrazione sessuale, la madre [15]. Di “istinto mimetico” parla anche un filosofo contemporaneo, Max Horkheimer, il quale in particolare, in Eclisse della ragione, mette in relazione tale istinto con l’affermarsi di una società autoritaria [16].

Particolarmente suggestiva, però, a questo proposito, anche perché applicata a personaggi della letteratura, è la teoria di René Girard, critico letterario e antropologo, la cosiddetta “teoria del desiderio mimetico”. Egli afferma che, quando noi desideriamo qualcosa, il nostro desiderio non è immediato, ma mediato. Lungi dall’essere autonomo, il nostro desiderio è sempre suscitato dal desiderio che un altro – il modello – ha dello stesso oggetto. Ciò  significa che la relazione non è diretta, lineare,  tra il soggetto e l’oggetto, ma  triangolare. Tra il soggetto desiderante e l’oggetto si interpone il modello, il mediatore. Attraverso l’oggetto, è il modello – che Girard chiama mediatore – che attrae; ma è l’essere del modello che è l’oggetto del desiderio; addirittura l’oggetto può sparire, ed ecco  il desiderio diventare – come egli dice – “metafisico”. Il desiderio secondo l’altro diventa desiderio di essere un altro.

Un esempio, prima di addentrarci nell’applicazione che Girard fa della sua teoria per A Midsummer Night’s Dream, può chiarire tale meccanismo psicologico. Prendiamo la pubblicità di un’autovettura di lusso da cui scende un bell’uomo in compagnia di una bella donna. Secondo il modello del desiderio mimetico triangolare noi non vogliamo semplicemente avere quella macchina (sarebbe questo un desiderio lineare tra soggetto, noi che desideriamo, e l’oggetto, la macchina pubblicizzata), ma essere quell’uomo (quell’uomo che la pubblicità ci fa intravedere come mediatore, come modello).

Ora, continua Girard, la mediazione può essere esterna, quando il mediatore-modello è socialmente fuori della portata del soggetto, fuori dal mondo reale; la mediazione è interna quando il mediatore è reale ed allo stesso livello del soggetto. Esso si trasforma allora in ostacolo per l’appropriazione dell’oggetto: da qui il comparire della competizione e della la rivalità.

L’interpretazione che Girard fa di A Midsummer Night’s Dream, alla cui analisi dedica due lunghi saggi[17], segue appunto questo schema teorico, in grado, a suo avviso, di illustrare quanto avviene nella commedia nel suo complesso, ma soprattutto a personaggi come Bottom ed Elena. Egli  ritiene infatti che le metamorfosi che si rappresentano in A Midsummer Night’s Dream, e che culminano con la significativa trasformazione di Bottom in asino, siano il prodotto del processo mimetico messo in atto sia dagli amanti che dagli artigiani attori. Da una parte il desiderio di Bottom di interpretare tanti ruoli diversi, dall’altra il desiderio di Elena di trasformarsi in Ermia, sarebbero in realtà alla base della loro metamorfosi finale.

1.2 GLI AMANTI

Un primo punto da analizzare per spiegare questa teoria è la trama degli amanti, e il desiderio di Elena di assomigliare ad Ermia. In A Midsummer Night’s Dream, Shakespeare lascerebbe intendere, indirettamente, come prima dell’arrivo di Lisandro, Ermia fosse felicemente innamorata di Demetrio:

HERMIA

Before the time I did Lysander see,

Seemed Athens as a paradise to me.

O then, what graces in my love do dwell,

That he hath turned a heaven into a hell!   (I, i, 204-207)

Successivamente, all’interno della commedia, apprendiamo che Ermia si è innamorata di Lisandro; si può facilmente notare come mentre la felicità di Lisandro ed Ermia sembri minacciata soltanto dall’esterno, dalla volontà di Egeo e dalla sua ostinazione a non accettare il loro matrimonio,

EGEUS

Be it so she will not here, before your grace,

Consent to marry with Demetrius,

I beg the ancient privilege of Athens:

As she is mine, I may dispose of her –

Which shall be either to this gentleman

Or to her death, according to our law

Immediately provided in that case.   (I, i, 39-45)

quella degli altri due amanti è sin dall’inizio causata dagli amanti stessi, che insistono nell’essere innamorati della persona sbagliata, Demetrio di Ermia, che non ricambia il suo amore:

HERMIA

I frown upon him, yet he loves me still.

[…]

I give him curses, yet he gives me love.

[…]

The more I hate, the more he follows me.

[…]

His folly, […] is no fault of mine.   (I, i, 194-200)

Ed Elena di Demetrio, che a sua volta la respinge:

DEMETRIUS

Do I entice you? Do I speak you fair?

Or rather do I not in plainest truth

Tell you I do not nor I cannot love you?   (II, i, 199-201)

Secondo Girard si intuisce presto, nella commedia, come Shakespeare sia interessato più in questo tipo di passione auto lesionante che nel tema iniziale del “vero amore”[18]. Si evince presto che questa passione struggente governa la relazione di entrambe le coppie: all’inizio Demetrio e Lisandro sono innamorati di Ermia, successivamente si innamorano di Elena; l’unica costante è la convergenza del desiderio su un singolo oggetto, come se per i protagonisti la rivalità fosse più importante dell’amore stesso.

I due ragazzi sono dunque innamorati, in alcuni tratti della commedia, della stessa ragazza. Ed è proprio per questo motivo che Elena, all’inizio della commedia, sembri essere innamorata più di Elena che di Demetrio: visto che Ermia è amata da entrambi i giovani, e sembra essere la star di tutta lo spettacolo, Elena si sente irresistibilmente attratta dal suo successo da volerla imitare con qualsiasi mezzo, per raggiungere la sua gloria erotica, far innamorare di sé gli amanti di Ermia:

 

            HELENA

Call you me fair? That fair again unsay.

Demetrius loves your fair, O happy fair!

Your eyes are lodestars, and your tongue’s sweet air

More tuneable than lark to shepherd’s ear

When wheat is green, when hawthorn buds appear

Sickness is catching; O, were favor so,

[Yours would] I catch, fair Hermia, ere I go;

My ear should catch your voice, my eye your eye,

My tongue should catch your tongue’s sweet melody.

Were the world mine, Demetrius being bated,

The rest I’ll give to be to you translated.” [19]   (I, i, 181-191)

L’ultimo verso di questo discorso riassume il significato dell’intero discorso: il desiderio di essere qualcun altro. Elena vorrebbe trasformarsi in Ermia, perché quest’ultima ha l’amore di Demetrio. Ma Demetrio è qui menzionato soltanto una volta, il desiderio di possedere Demetrio apparirebbe meno opprimente di quello di essere come Ermia. Quello che rende questo desiderio di trasformarsi nell’amica rivale così forte è l’irresistibile dominazione che Ermia esercita sia su Demetrio che sull’altro amante; ed è proprio questa capacità che Elena invidia nell’amica.

L’adulazione di Ermia è più che un complimento, sarebbe infatti molto simile all’odio che si osserva qualche scena più avanti. Il modello da imitare è adulato come un modello e odiato come un rivale. Demetrio e Lisandro termineranno la loro rivalità con un duello; lo stesso accade ad Elena ed Ermia, e ciò contraddice il discorso fatto precedentemente da Elena, dove essa mostrava un’ammirazione totale per la sua amica:

HELENA

Have you no modesty, no maiden shame,

No touch of bashfulness? What, will you tear

Impatient answers from my gentle tongue?

Fie, fie, you counterfeit, you puppet, you!   (III, ii, 285-288)

Ritiene Girard che il desiderio non può imitare qualcuno senza prima trasformarlo in un ostacolo fastidioso; ma Elena sembra non capire ciò che le accade a causa della sua frustrazione, e continua a credere che qualcuno stia interferendo con  il “vero amore”. Ermia è vista come un paragone di successo, e l’unico modo per arrivare a quel successo, per Elena, è trasformarsi nella sua amica e rivale[20].

Elena vuole somigliare al suo modello in tutto; il suo obbiettivo è poter adulare sé stessa, e non Ermia; ma per raggiungere questo obbiettivo, il primo passo sembra essere quello di adulare Ermia, per poi riuscire a diventare un esatto duplicato di colui cui si vuole assomigliare. Questo è quello che accade con libri e riviste, dove compaiono “eroi” ai quali molta gente, oggi, vorrebbe assomigliare; anche qui gli auto adulatori finiscono sempre per adulare qualcun altro. Ed anche in questi casi accade, come succede a Titania dopo essere stata incantata dal succo magico, e come succede anche ai giovani amanti, che ci si innamora di qualcuno “a caso”. Critci come Hartman e Kott notano come nella foresta, alla base di tutte le relazioni amorose che vi compaiono, ci sia questo continuo scambio dell’oggetto del desiderio, ma anche la riduzione dei personaggi a semplici amanti[21]; la foresta potrebbe dunque rappresentare il freudiano indistinto “principio del piacere”, dove gli amanti sembrano essere interscambiabili, dove tutti vogliono tutto, in una notte in cui tutto è concesso. Dice Freud:

Quanto alle pulsioni sessuali […] operano in vista del conseguimento del piacere […] L’io non si lascia più dominare dal principio del piacere, ma obbedisce al principio di realtà. [22]

Realtà che nella foresta di A Midsummer Night’s Dream viene però sconvolta, obliando l’Io dei protagonisti e lasciando posto, come nei sogni, al loro Es.

Quindi sembrerebbe che in A Midsummer Night’s Dream il desiderio insegua il desiderio, che i quattro giovani protagonisti, per usare le parole di Girard, “are in love with love[23]. In questo modo si riesce ad evincere e spiegare la gelosia e la natura conflittuale della convergenza mimetica verso un singolo oggetto di piacere. Se si continua a desiderare l’oggetto di desiderio di qualcun altro, si finisce inevitabilmente a considerare l’altro come ad un rivale. Il desiderio mimetico, dunque, rende impossibili i rapporti reciproci. Shakespeare rende molto chiaro questo punto, ma gli amanti, così come lo spettatore, sembrano non capire il meccanismo dei loro stessi sentimenti.

La commedia sembrerebbe quindi avere due trame, due strutture: sul primo livello c’è la commedia tradizionale, mentre sul secondo il desiderio mimetico di assomigliare a qualcun altro si fa strada, divenendo responsabile sia degli avvenimenti strani e inspiegabili che avvengono durante la notte, ma anche per i temi mitologici che regnano ad un livello più alto. Gli ostacoli non sono esterni ai quattro amanti, perché in realtà ognuno di essi è un ostacolo per gli altri tre, in un gioco di imitazione e rivalità. Gli ostacoli esterni sembrerebbero essere soltanto un’illusione, una allegoria di qualcosa che Shakespeare vuole dire, ma dice in forma retorica. Il discorso sulle difficoltà che incontra il vero amore, ad esempio, che Lisandro ed Elena hanno all’inizio della commedia, sembra che pian piano cresca di intensità, mostrando il suo culmine nell’ultimo verso:

 

LYSANDER

The course of true love never did run smooth;

But either it was different in blood –

HERMIA

O cross! Too high to be

Enthralled to low.

LYSANDER

Or else misgraffed in

Respect of years –

HERMIA

O spite! Too old to be engaged to young.

LYSANDER

Or else it stood upon

The choice of friends –

HERMIA

Oh hell! To choose love

By another’s eyes.   (I, i, 134-140)

 

Se si isolano gli ultimi versi si nota come un significato apparentemente marginale, permetterebbe in realtà di capire meglio ciò che accade nel resto della commedia, e cioè che gli amanti scelgono il loro amore attraverso gli occhi di qualcun altro. Sembra significativo, a questo proposito, un verso recitato da Ermia, che riassumerebbe alla perfezione quello che è avvenuto nel bosco durante la notte. Ermia, dopo che gli amanti, finita ormai la loro avventura notturna, si risvegliano dal sonno e parlano con Teseo, dice:

 

Methinks I see these things with parted eye,

When everything seems double.   (IV, i, 188-189)

Questo sembra praticamente essere il resoconto di quello che è accaduto nella commedia: il “parted eye” richiamerebbe, a mio avviso, l’occhio con cui il padre di Ermia, Egeo, aveva scelto l’amore per sua figlia, lo stesso “occhio” che, a causa del desiderio mimetico, non permette di guardare l’amore con i nostri occhi, bensì con quelli del modello che prendiamo come esempio. Inoltre, secondo Ermia, “everything seems double”. Ma nella foresta di A Midsummer Night’s Dream tutto era veramente raddoppiato: Elena ed Ermia, così come Lisandro e Demetrio, sembravano essere la stessa persona vista come un doppione; questa frase riassumerebbe dunque la “crisi d’identità” che gli amanti sperimentano nel bosco.

Man mano che la notte avanza, infatti, i protagonisti diventano sempre più indifferenziati, così come le stagioni che hanno perso le loro caratteristiche; e questa indifferenziazione deriva proprio dal desiderio mimetico, dal voler essere uguali a qualcun altro. Il desiderio mimetico, alla fine, funziona davvero, rende possibile la metamorfosi del soggetto nel modello che pretendeva imitare. I quattro giovani ateniesi, mentre la notte avanza, perdono sempre di più le loro caratteristiche personali, diventano tutti uguali, tutti mandandosi gli stessi insulti prima verbali e poi fisici, tutti sotto l’effetto della stessa droga. La personalità di ognuno dei protagonisti si disintegra, fino a quando essi non sanno più chi sono realmente: “Am I not Hermia? Are you not Lysander?(III, ii, 273).

Potremmo qui parlare allora di una vera e propria crisi d’identità; i personaggi perdono la loro identità, che vorrebbero trasformare in assoluta e proprio per questo motivo diventa relativa. A questo proposito interviene Girard, sottolineando come molti critici abbiano evidenziato la mancanza di personalità e l’intercambiabilità dei protagonisti, ritenendo strano che Shakespeare sia stato qui interessato nella dissoluzione dei suoi personaggi, nell’averli resi uguali e uniformi, piuttosto che nella loro creazione, e come questi stessi critici abbiano visto in questo atteggiamento una deficienza di A Midsummer Night’s Dream. Come mostra il critico francese, invece, Shakespeare usa spesso questa tecnica, sia nelle tragedie che nelle commedie (possiamo ad esempio vedere l’intercambiabilità di Montecchi e Capuleti in Romeo e Giulietta); secondo il critico:

“There is no great theater without a gripping awareness that, far from sharpening our differences, as we like to believe, our violence obliterates them, dissolving them into that reciprocità of vengance which becomes its own self-inflicted punishment. Shakespeare is fully aware, at the same time, that no theater audience can assume the full force of this revelation” [24]

Credo, tra l’altro, che non esista nessun grande teatro senza la consapevolezza che questo desiderio e processo di imitazione è ancora più vivo e presente proprio sul palco e nell’identità degli attori, che, capaci di assumere qualsiasi parte gli venga assegnata, sono i primi a risultare intercambiabili e a perdere, almeno sul palco, la loro vera identità, per prendere quella di un personaggio fittizio e irreale.

Girard crede che con l’indifferenziazione dei quattro amanti, rendendoli uguali e intercambiabili, Shakespeare abbia voluto mettere in risalto le mode dei giovani aristocratici del tempo, facendo vedere quello che accade agli adolescenti che leggono troppi romanzi e decidono di vivere in un mondo di imitazione letteraria, prendendo i loro eroi come modelli da imitare nella vita reale, diventando “living theater” [25].

C’è spesso, in Shakespeare, una passione che fondamentalmente tende a copiare un modello, una passione che è distruttiva non solo perché crea rivalità ma perché dissolve la realtà: tende all’astrazione; il modello da imitare può venir fuori dal palco di un teatro, o dalle pagine di un romanzo, da un disegno, portando ad adorare un fantoccio che è soltanto una rappresentazione, un’immagine. Questo tipo di passione porta sempre alla corruzione della propria vita, si guarda all’amore con gli occhi di qualcun altro preso come modello.

Tutto ciò si riscontra anche nelle nostre vite, nella vita di tutti i giorni, dove la globalizzazione ha portato, come fa notare Portera nel suo saggio “A che serve la pedagogia interculturale?, ad una forte e profonda crisi d’identità, quella che sperimentano anche i quattro amanti ateniesi, così come Bottom-Piramo nel bosco; crisi che porta ad un’assenza di valori e ad uno smarrimento, per cui “oggi il problema non è più come conquistare identità personali stabili e ben radicate, ma come rimanere flessibili per poter fare altre scelte, qualora il mercato o la società lo richieda[26]. E Shakespeare, consciamente o meno, ha anticipato ancora una volta di qualche secolo il pensiero di studiosi moderni, mostrandoci quali sono gli effetti del desiderio mimetico e la conseguente crisi di identità che può scaturire dal desiderio stesso di voler essere quello che in realtà non siamo.

1.3 GLI ARTIGIANI-ATTORI

Osservato il processo mimetico che guida gli amanti, e principalmente Elena, sin dall’inizio di A Midsummer Night’s Dream, portandoli alla fine a trasformarsi nel loro modello, si possono ora prendere in considerazione le azioni degli artigiani attori, notando come anche qui il desiderio mimetico e la voglia di assomigliare a qualcun altro porti alla fine ad una trasformazione, in questo caso ancora più evidente: “O Bottom, thou art changed(III, i, 109).

Quando Bottom, durante l’assegnazione dei ruoli che Quince ha stabilito per gli artigiani attori, volendo interpretare più parti, e tra le altre chiede di poter interpretare anche la parte del leone, gli altri, contrariati, gli rispondono:

You should do it too terribly, you would fright the Duchess and the ladies, that they would shrike; and that were enough to hang us all.   (I, ii, 67-69)

Bottom, da buon mimo, non potendo non dare al suo pubblico quello che chiedono, replica: “I will roar you as gently as any sucking dove; I will roar you and ‘twere any nightingale” (I, ii, 73-75), trasformando il leone per metà in uccello, creando una specie di mostro. Quindi, la propensione di Bottom a trasformare qualcosa in qualcos’altro, e la sua messinscena di differenti ruoli, richiamano già un processo di metamorfosi mitologica, che gli permette di trasformare ad esempio un feroce leone in un innocuo usignolo. Allo stesso modo gli artigiani trasformano, per la loro rappresentazione, ogni oggetto, anche il più insignificante come la luna o un muro, in una parte teatrale. E Bottom, interpretando tutti i ruoli che vengono proposti, sta perdendo parte della sua stessa personalità.

Quando Bottom, per far si che le dame non si spaventino a causa della spada con la quale Piramo dovrebbe uccidersi, chiede a Quince di scrivergli un prologo in cui si dica:

Let the prologue seem to say we will do no harm with our swords, and that Pyramus is not killed indeed; and for the more better assurance, tell them that I Pyramus am not Pyramus, but Bottom the weaver   (III, i, 16-20)

ancora una volta Bottom sta cercando di monopolizzare la scena, chiedendo di interpretare anche la parte del prologo. E con il suo desiderio di prevenire la confusione tra una morte simulata ed una vera, Bottom vuole che il finto Piramo mostri la sua vera identità. Ma il prologo che chiede sia scritto, mostrerebbe esattamente il contrario: invece di affermare la sua vera identità da subito, Bottom nomina per primo Piramo, in prima persona, dicendo “I Pyramus” come se lui fosse in realtà quello che pretende di essere nella rappresentazione. E quando infine rivela il suo vero nome, lo fa come se quella, e non quella di Piramo, fosse la sua parte da attore: “Bottom the weaver”, nome che tra l’altro compare nella lista delle parti all’inizio di A Midsummer Night’s Dream. Sembrerebbe come se Bottom, che ha una parte fittizia nella commedia (anche se noi sappiamo che non è così), non si senta a suo agio con una parte così marginale, e voglia trasformare il suo personaggio in qualcuno più famoso e con un ruolo più importante, come quello di Piramo.

Con il leone si ha poi un’altra trasformazione: “Half his face must be seen through the lion’s neck”(III, i, 33-34); ed ecco che, attraverso un altro prologo, si ottiene una nuova metamorfosi del leone, che dall’ incrocio con un volatile, ora cambia nuovamente forma per diventare una creatura per metà leone e per metà uomo. Secondo Girard questa trasformazione richiama anche i riti di maggio e le maschere primitive con le quali si svolgevano questi riti in passato, la cui esistenza è stata accertata dall’antropologo Sir James George Frazer[27].

Ma ancora gli artigiani non credono alle metamorfosi da loro create. Pochi minuti dopo, con Bottom trasformato in un asino, vedono però con i loro occhi una vera metamorfosi, un uomo che davvero è diventato per metà bestia, un vero mostro quindi. Ma questa trasformazione non è che la continuazione di successive trasformazioni, che vedono Bottom diventare prima Piramo, poi Tisbe, poi un leone per metà uccello, e che culminano in una vera metamorfosi, nella trasformazione della testa di Bottom in quella di un asino.

Le parti che interpreta Bottom sono troppo diverse l’una dall’altra, che sarebbe impossibile unirle in una armoniosa sintesi “Hegeliana”, e Bottom le impersona, impiegando tutto se stesso in ognuna di esse, quasi simultaneamente. Finché, essendo ormai un tutt’uno con le trasformazioni, avviene la metamorfosi finale, prima per gli occhi dei suoi compagni, poi nei suoi stessi occhi. Bottom è stato “tradotto” in diversi frammenti presi dalle varie parti che ha impersonato, unite insieme dalla preponderante figura dell’asino. Sembrerebbe quindi che il desiderio di Bottom di impersonare altre parti, di trasformarsi in Piramo o in qualsiasi altra cosa lo spettacolo avesse richiesto, abbia infine avuto il suo “appagamento”, e Bottom si sia finalmente trasformato realmente in qualcosa, nello sposo animale della regina Titania.

1.4 “FOOLS” AND “LOVERS”: LE DUE TRAME SI UNISCONO

Allargando lo sguardo sull’intero A Midsummer Night’s Dream ci si rende conto di come coloro che desiderano trasformarsi, imitare qualcun altro, stanno in realtà davvero cambiando se stessi nel loro modello. Questo è quello che accade sia a Bottom che ad Elena, che smaniando per una metamorfosi totale, arrivano ad avere alla fine ciò che desideravano, proprio attraverso l’imitazione.

Quindi questa spinta all’imitazione tiene unita l’intera trama di A Midsummer Night’s Dream, e insieme alle vicende degli amanti e degli artigiani attori costituisce l’origine delle metamorfosi che avverranno in seguito, sia negli uni che negli altri.

Nella sua analisi di A Midsummer Night’s Dream e dei processi mimetici che in essa avvengono, Girard, chiedendosi quale possa essere la relazione che lega le due trame, apparentemente senza un nesso logico che le colleghi, trova dunque proprio in questo desiderio di imitazione il filo che tiene unita la commedia, e trova, nel comportamento dei quattro giovani ateniesi, molte somiglianze con il comportamento degli artigiani attori e di Bottom, e con il loro desiderio di avere una nuova parte, non marginale, in questa grande commedia[28].

L’elemento più forte per evidenziare questo legame tra le due parti, sembrerebbe essere il richiamo a figure e immagini di animali. Le prime immagini appaiono già all’inizio della commedia con Elena:

No, no, I am as ugly as a bear.

For beasts that meet me run away for fear.   (II, ii, 100-101)

I paragoni metaforici dei quattro amanti con gli animali (“I am your spaniel” dice Elena, o ancora, rispondendo a Demetrio che pretende lasciarla alla mercé delle bestie feroci: “The wildest hath not such a heart as you”) corrisponderebbero alla preoccupazione degli artigiani di rendere innocuo il loro leone, e in entrambi le immagini di creature sovraumane prepara il terreno per la metamorfosi finale, che sembrerebbe essere la stessa in entrambe le vicende; e così è, se osserviamo la trasformazione di Bottom in asino, metaforicamente trasformato in “fool”, in “folle” o “buffone”, che riecheggia le “follie d’amore” dei giovani amanti nel bosco.

Ed è probabilmente proprio per questo che Shakespeare usa la stessa parola, “translated” per esprimere sia il desiderio di Elena di assomigliare ad Ermia: “The rest I’d give to be to you translated(I, i, 191), sia la trasformazione che subisce Bottom durante le prove dello spettacolo: “Bless thee, Bottom, bless thee. Thou art translated(III, i, 113). Inoltre è interessante notare come Elena, assomigliando ad Ermia, come lei stessa dice all’inizio della commedia: “Through Athens I am thought as fair as she” (I, i, 227), trasformandosi assomiglierebbe dunque a qualcosa già a lei identico; proprio come accade a Bottom, trasformato in qualcosa a lui metaforicamente identico, un asino; “Translation” esprime sia il desiderio di essere qualcosa di diverso, sia il successo di quel desiderio, la metamorfosi vera e propria. In entrambe le trame, la metamorfosi è l’esaudimento del desiderio.

Queste immagini animali sono puramente retoriche, e le loro fonti, per molti critici, sono da attribuire alle Metamorfosi di Ovidio. Ma l’esistenza di una fonte letteraria non implica necessariamente che questa fonte non possa essere riutilizzata da un secondo autore con un significato diverso. Secondo Girard queste immagini animali fanno parte di un processo che porta dal desiderio mimetico al mito [29]. Cercando di assomigliare ad un dio, il dio che viene adorato, l’amante passa attraverso una metamorfosi animale. L’amante si auto degrada per affermare il successo del suo rivale. Le immagini animali sembrerebbero dunque essere il risultato di un’ambizione provocata dal desiderio mimetico. Con questo tipo di desiderio, l’amante non riesce a vedere gli altri come esseri umani uguali a lui, condannato ad una relazione “dio-bestia”:

HELENA

I am your spaniel, and, Demetrius,

The more you beat me I will fawn on you.

Use me but as your spaniel: spurn me, strike me,

Neglect me, lose me; only give me leave,

Unworthy as I am, to follow you.

What worser place can I beg in your love,

And yet a place of high respect with me —

Than to be used as you use your dog?   (II, i, 203-210)

Ciò che sperimenta Elena all’inizio, e che poi sperimenteranno anche gli altri amanti, potrebbe oggi essere chiamato “complesso d’inferiorità”; ma in realtà ciò può essere visto più che come complesso di inferiorità, come l’interpretare la parte della bestia in una relazione in cui uno è privato di una superiorità assoluta, che appartiene sempre a qualcun altro.

Essendo questo desiderio mimetico, la relazione che si viene a creare non è stabile; è instabile, e la superiorità assoluta passa quindi consecutivamente da un carattere all’altro; la bestia diviene dio, e il dio bestia. L’inferiorità diventa superiorità e viceversa, e ogni cosa si trasforma nel suo contrario. E’ quello che accade ad Elena, che prima è disprezzata da tutti, mentre Ermia è trattata come una dea, finché non diventerà lei l’oggetto di adorazione, ed Ermia prenderà il posto della bestia. Ma già con l’inizio della notte, queste immagini animali iniziano a sovvertirsi, a tramutarsi in qualcos’altro, muovendo verso il caos più assoluto:

HELENA

Run when you will, the story shall be changed.

Apollo flies, and Daphne holds the chase;

The dove pursues the griffin; the mild hind

Makes speed to catch the tiger.   (II, i, 230-233)

 

E anche la natura, come abbiamo visto, segue questa legge del caos e della trasformazione delle cose nel loro contrario, che domina amanti ed artigiani. Sfociando dunque nella natura, il caos non può che essere rappresentato dalla mitologia; molti studiosi hanno affermato infatti come il mito sia una rappresentazione della violenza umana, e la sua ripercussione sulla natura [30]. Shakespeare sembra quasi fare lo stesso, inserendo la trama della sua notte di mezza estate in una crisi di livello cosmologico, e rappresentando questa crisi appunto con la mitologia.

Per terminare, questa trasformazione delle cose nel loro contrario, sia nella natura che negli amanti, non è che l’espressione metaforica della crisi portata dal desiderio mimetico. Gli amanti, presi da questo desiderio, tra rivalità e fascino provocati dall’altro, non potranno mai occupare la stessa posizione insieme; la stessa posizione sarà occupata da entrambi, ma in momenti diversi. Così, quando l’angelo e la bestia si alternano troppo velocemente, diventano una cosa solo, creando una creatura formata dall’unione di questi opposti. Il dio e la bestia si confondono e diventano la stessa cosa, formando un mostro. Questo mostro mitologico, in A Midsummer Night’s Dream, non sarebbe altro che il risultato di un miscuglio di immagini animali derivanti dal desiderio mimetico. Proprio come il mostro che si forma dall’unione di Bottom con un asino. L’innamoramento di Titania per un asino, stregata dallo stesso succo magico dato agli amanti, è reso possibile da questa indifferenziazione tra umano e sovraumano, tra naturale e sovrannaturale, perché le barriere tra la regina delle fate e il mondo dei mortali sono state spezzate. Questa unione tra uomo, dio e bestia non è altro che il culmine del processo di metamorfosi e trasformazione che ha inizio con la commedia stessa.

Cap. II – “THOU ART TRANSLATED”

“Verely under the wrappe of this transformation, is taxed the life of mortall men,

when as we suffer our mindes so to be deowned in the sensuall lusts of the fleshe …

we leese wholy the use of reason and vertue (which proprely should be in man)

 & play the partes of bruite and savage beastes”

(Adlington, The Golden Ass, preface) [31]

Tra le diverse metamorfosi che avvengono in A Midsummer Night’s Dream la più suggestiva, interessante e sicuramente la più evidente, è quella di Bottom trasformato in asino dal folletto Puck.

Mentre gli artigiani provano le loro parti, nella foresta, per la messinscena di “the most lamentable comedy, and most cruel death, of Pyramus and Thisbe” davanti al duca, e mentre, significativamente, discutono su un prologo che ribadisca che:

BOTTOM

I, Pyramus, am not Pyramus, but Bottom the weaver (III, i, 19.20)

e che:

SNOUT

Another prologue must tell he is not a lion

BOTTOM

Nay, you must name his name, and half his face must be seen through the lion’s neck, and he himself must speak through, saying […] ‘if you think I come hither as a lion, it were pity of my life. No. I am no such thing. I am a man, as other men are’   (III, i, 31-40)

anticipando quindi già la metamorfosi che seguirà, appare Puck che trasforma Bottom per metà in un asino, alla cui vista gli artigiani scappano impauriti.

Peter Quince, vedendo Bottom con la testa d’asino, esclama: “Bless thee, Bottom! Bless thee! Thou art translated” (III, i, 113). Egli descrive così la trasformazione di Bottom come una metamorfosi terrificante. In realtà lo spettatore sa che Bottom è un asino solo metaforicamente; si tratta in realtà di un “fool”, di un buffone; quindi la sua trasformazione non fa che nascondere la realtà attraverso un simbolo. L’attore resta se stesso pur assumendo accidentalmente una nuova identità, quella dell’asino. Nella buffa discussione che intercorre tra gli artigiani/attori la ricerca di mantenere ben viva la consapevolezza di tale duplicità è evidente. La “traduzione”, o trasformazione, o metamorfosi, è soltanto una metafora. E’ la stessa logica del sogno, che presenta una realtà tramite la trasformazione di qualcosa in qualcos’altro di identico, o della creazione artistica che fa uso del linguaggio metaforico.

La metamorfosi di Bottom e l’esclamazione di Peter Quince offrono intanto lo spunto per una interessante digressione su quanto di analogo avviene nell’ambito della traduzione linguistica. Si può notare, sulla scia delle riflessioni di David Lucking nel suo saggio “Translation and Metamorphosis in A Midsummer Night’s Dream”, che il verbo inglese “to translate” può significare sia “tradurre da una lingua ad un’altra” e sia “trasformare un oggetto in qualcos’altro di identico”.

Secondo Lucking [32], anche se A Midsummer Night’s Dream non riguarda propriamente la traduzione da una lingua ad un’altra, e  il verbo “to translate” è qui sempre usato con il significato di “trasformare”, si possono comunque cogliere nell’opera alcuni aspetti che riguardano la traduzione da una lingua e una tradizione culturale ad un’altra.

Lucking si chiede se “translation” nel senso di traduzione possa comunque racchiudere in sé una “translation” come trasformazione, cioè se traducendo qualcosa non la si stia comunque trasformando, come Bottom trasformato in asino, in qualcosa di identico, spostandola da una cultura e da una realtà ad un’altra, e quindi trasformandola per renderla più adatta alla nuova realtà in cui è stata inserita.

D’altra parte, come spiega Umberto Eco nella sua teoria sulla traduzione esposta nell’opera Mouse or Rat [33], nella traduzione è sempre necessario perdere qualcosa per guadagnare qualcos’altro.

E’ quanto avviene, ad esempio, nella traduzione inglese delle Metamorfosi di Ovidio di Arthur Golding, che molti critici ritengono essere la fonte principale di A Midsummer Night’s Dream, e in particolare dell’interludio di Piramo e Tisbe. Golding, che aveva simpatie puritane e protestanti, nel tradurre le Metamorfosi, opera interamente pagana, sembra aver voluto giustificare se stesso spiegando, già nell’introduzione all’opera, quale secondo lui è l’intento delle Metamorfosi, e cioè non quello di divertire, ma di istruire. Nella sua traduzione, quindi, Golding trasforma l’opera pagana di Ovidio secondo la sua visione cristiana, portandone alla luce principalmente il suo messaggio morale. Con la storia di Piramo e Tisbe, ad esempio, Golding vuole mostrare le conseguenze di un amore sfrenato, che porta soltanto guai e pene.

La traduzione di Ovidio fatta da Golding per il suo pubblico inglese è stata complessa: non ha riguardato soltanto lo spostamento da una lingua e uno stile poetico ad un altro, ma anche tra differenti epoche storiche, culture, tradizioni e luoghi. Quindi, in realtà, Golding ha trasformato l’opera di Ovidio, sostituendo ai romani gentlemen inglesi, convertendo templi pagani in chiese, perdendo parte della cultura latina per guadagnare in cambio lo spostamento di un’intera opera nei confini del Regno Unito.

E’ appunto dall’opera di Golding che Shakespeare prenderebbe spunto per far inscenare ai suoi artigiani la loro tragedia. E, similmente, come afferma ancora Lucking, quello che Bottom e i suoi compagni stanno facendo quando rappresentano “the most lamentable comedy, and most cruel death, of Pyramus and Thisbe”, cercando a modo loro di renderla più adatta ad un pubblico raffinato come quello del duca e dei suoi ospiti, è inglesizzare il testo, proprio come ha fatto Golding.

Come ho già detto, critici tra cui Lucking e Garber hanno parlato, a proposito di queste trasformazioni, o “translations”, di un collegamento con le traduzioni interlinguistiche, ricollegandolo alla traduzione inglese delle Metamorfosi di Ovidio effettuata da Golding. E’ stato interessante notare, da questo punto di vista, come gli artigiani attori, mentre recitano le loro parti di Piramo e Tisbe nel bosco prima dell’entrata di Puck, ricalchino questo collegamento linguistico con le trasformazioni, anticipando la imminente metamorfosi di Bottom:

 

BOTTOM (as Pyramus)

Thisbe, the flowers of odious savours sweet

QUINCE

Odours – odours!

BOTTOM (as Pyramus)

… odours savours sweet   (III, i, 77-79)

E pochi versi dopo:

 

FLUTE (as Thisbe)

I’ll meet thee, Pyramus, at Ninny’s tomb”

QUINCE

Ninus’ tomb, man!   (III, i, 91-92)

Giusto qualche attimo dopo entra Bottom con la testa d’asino, e vedendolo Quince esclama:

O monstruous! O strange! We are haunted!

Pray, masters! Fly, masters! Help!   (III, i, 99-100)

facendo scappare via la compagnia, e giusto un attimo prima di pronunciare la frase che tanto ha fatto discutere i critici:

 

Bless thee, Bottom! Bless thee! Thou art translated!   (III, i, 113)

Si potrebbe anche avanzare l’ipotesi che Shakespeare abbia voluto, attraverso la buffa messinscena di Piramo e Tisbe da parte degli artigiani di A Midsummer Night’s Dream, i quali cercano di trasformare quello che è in qualcosa che non è, presentare piuttosto una parodia della traduzione delle Metamorfosi di Golding, contestando anche l’imposizione di significati non contenuti nell’originale, ma che il traduttore inglese pretende di attribuire allo stesso Ovidio. Sicché l’amore sfrenato, che in Piramo e Tisbe porta soltanto dolore, non ha sempre le conseguenze disastrose preannunciate da Golding: i quattro amanti ateniesi, infatti, dopo un interminabile sogno in una notte di mezza estate, finiscono per ritrovare se stessi e il loro amore, e concludono le loro peripezie con un meritato matrimonio festeggiato insieme con il duca.

2.1 – BOTTOM E LUCIUS

Tornando alla metamorfosi animale di Bottom, trasformato per metà in asino, c’è da rilevare la sua vicinanza ad un’altra fonte classica, cui sicuramente Shakespeare ha attinto per scrivere questa commedia, e più precisamente L’asino d’Oro di Apuleio, nella sua traduzione inglese di William Adlington. Qui Lucio, il protagonista del racconto, si cosparge con un unguento erroneamente datogli da Focide e si trasforma in asino:

 

In fretta mi spogliai completamente, ci immersi con avidità le mani, e tirato su un bel po’ di quell’unguento, cominciai a fregarmi per tutto il corpo […]. I miei piedi si ingrossarono e diventarono setole, la pelle così morbida si indurisce in cuoio; all’estremità dei piedi e delle mani le dita non si contano già più perché si riuniscono in un’unghia sola, e di fondo alla spina dorsale mi cresce una lunga coda. Ormai sento d’avere una faccia enorme, una bocca larghissima, narici spalancate, labbra ciondolanti e orecchie pelose che crescono in modo spaventevole.  

      (III, 25, 2-14) [34]

A parte l’evidente riferimento della trasformazione di Bottom, i critici hanno notato altri aspetti che avvicinerebbero la commedia di Shakespeare a L’asino d’Oro. L’intera opera infatti sembrerebbe ricalcare la struttura de L’Asino d’Oro, in cui una storia, quella di Amore e Psiche, è inserita nella trama principale, e sembra essere, proprio come la messinscena di Piramo e Tisbe in A Midsummer Night’s Dream, una spiegazione mitica degli strani fatti avvenuti nel corso della storia.

In più, McPeek sostiene che molto probabilmente non soltanto Bottom o il “play-within-a-play”, ma l’intera commedia sia una trascrizione mitica della leggenda di Psiche, inserita all’interno de L’asino d’Oro, e frammentata nell’intera struttura dell’opera [35].

Innanzitutto, fa notare il critico, entrambe le opere hanno dei richiami al sogno: pochi versi prima del mito di Psiche, infatti, Charites ha avuto una scioccante visione simile ad un sogno: “Ma il sogno che ho fatto or ora rinnuova e porta anzi al colmo la mia sventura” (IV, 27, 22-23).

Inoltre McPeek nota come Ermia ed Elena, insieme, mostrino un’immagine composita della donna, vista universalmente e in tutte le sue varianti (alta e bassa, bionda o scura); nessuna delle due sembra essere preferibile all’altra (Elena: “Through Athens I am thought as fair as she”), ed entrambe mostrano costanza nell’amore verso il loro amante, ricalcando l’immagine della donna perfetta che si può ritrovare in Psiche. Psiche ed Ermia sono poi accomunate dal dover accettare un matrimonio concordato, non voluto da loro.

Paragoni testuali tra le due opere possono essere notati nell’affermazione di Elena su Demetrio: “It is not night when I do see your face” (II ,i, 221), simile a quella che Psiche fa sul suo amante: “I little esteeme to see your visage and figure, little do I regarde the night and darkness thereof, for you are my onely light” (Bk. V 7;50). E ancora Oberon paragona Elena a Venere, promettendole che potrà competere con la dea in bellezza: “Let her shine as gloriously / as the Venus of the sky” (III, ii, 106-107).

Anche le immagini di mostri e serpenti, centrali nel mito di Psiche, sono spesso usate dalle due amanti ateniesi: nel sogno di Ermia nel bosco, lei sogna che un serpente stia divorando il suo cuore. Al risveglio, non trovando Lisandro (“Gone? No sound, no word?”), decide di cercarlo, o di morire: “Either death or I’ll find you immediately”, e trovatolo innamorato di Elena, paragona la sua amica ad un serpente: “Vile thing, let loose, / Or I will shake thee from me like a serpent” (III, ii, 260-261). Allo stesso modo, il serpente che le sorelle fanno credere a Psiche essere la vera identità del suo amante, è paragonato ad una cosa vile: “the most miserablest creature livinge, the most poore, the most crooked, and the most vile” (IV, 31;44), che avrebbe divorato Psiche con il suo bambino non appena questo fosse nato. Quando poi Psiche scopre la vera identità dell’amante, questo vola via “without utterance of any woorde”. Similmente ad Ermia, Psiche, quando l’amante scompare, prima tenta il suicidio, poi si convince ad andarlo a cercare.

Anche le fate di Titania, che servono Bottom nel suo incontro con la regina delle fate, sembrano essere un richiamo dei servitori che attendono Psiche nel palazzo di Cupido, e soddisfano ogni sua richiesta.

McPeek collega poi Oberon, così come Puck e anche il paggio indiano, alla figura di Cupido [36]. Innanzitutto, nella leggenda di Psiche, dopo che Venere ordina a Cupido di far innamorare, con le sue frecce, la più vile e miserabile tra le creature sulla terra, va verso il mare dove si fa cullare dagli dei e dalle dee del mare. McPeek osserva come nella traduzione di Adlington manchino dei dettagli significativi, che in successive traduzioni, così come nell’opera originale, non sono omessi [37]: la traduzione di Gaselee, ad esempio, contrariamente da quella di Adlington, mostra come

she […] took her voyage towards the shore hard by, where the tides flow to and fro: and when she was come there, and had trodden with her rosy feet upon the top of the trembling waters, then the deep sea became exceeding calm [38].

 

Richiamando questa immagine marina, quando Oberon, per vendicarsi di Titania, chiama Puck in suo aiuto, gli narra di un’esperienza passata vicino al mare:

 

OBERON

Since once I sat upon a promontory

And heard a mermaid, on a dolphin’s back

Uttering such dulcet and harmonious breath

That the rude sea grew civil at her song,

And certain stars shot madly from their spheres

To hear the sea-maid’s music.

[…]

That very time I saw (but thou couldst not)

Flying between the cold moon and the earth

Cupid, all arm’d. A certain aim he took

At a fair Vestal, throned by the West,

And loos’d his love-shaft smartly from his bow,

At is should pierce a hundred thousand hearts.   (II, i, 148-160)

Effettivamente Cupido manca Psiche (descritta nella legenda come “a fair Vestal”) con la sua freccia, innamorandosi di lei. L’episodio descritto da Oberon dunque si ricollega con molta facilità a ciò che è avvenuto nella storia di Amore e Psiche.

Osservando inoltre il paggio indiano in relazione alla figura di Titania, vista come Venere, si nota come il suo attaccamento al paggio sia un richiamo al desiderio di Venere, nella leggenda, di spostare il potere di Cupido ad uno dei figli delle sue seguaci. Titania assomiglia molto alla figura di Venere anche per il fatto di rappresentare, come lei stessa dice, la natura:

TITANIA

And this same progeny of evils comes

From our debate, from our dissension;

We are their parents and original.   (II, i, 115-117)

 

Similmente Venere è arrabbiata perché la venerazione che la gente fa a Psiche ha portato i templi della vera dea ad essere lasciati abbandonati e desolati; e Venere stessa dichiara di essere “The originall parent of all these elementes(Bk. IV.30;44) e “The initiall progeny of worldes(Bk. XI.4;117). [39]

La storia dell’amante animale si ripete: Psiche, quando va a dormire, incontra il suo amante invisibile, quello che le sorelle le diranno poi essere un vile serpente; mentre Titania dorme, Oberon, spargendo il succo magico sui suoi occhi le dice: “Wake when some vile thing is near”, e al suo risveglio quello che Titania trova non è un serpente, bensì un altro mostro, per metà asino e per metà uomo, simile a quello che appare in Apuleio [40]. Inoltre Psiche, come Bottom con le fate ancelle di Titania, è servita, quando entra nel palazzo di Cupido, dai suoi servitori invisibili: entrambi sono allietati da dolci canzoni cantate dai servitori, e a entrambi si offrono cibi e ristoro. Bottom preferisce del cibo semplice, e Titania gli offre di fargli portare delle noci novelle; questa offerta si potrebbe facilmente ricollegare, come fa notare Sister M. Generosa [41], all’episodio di Apuleio in cui Charites promette a Lucio, trasformato in asino, che se la aiuta a scappare dal covo dei briganti, lo riempirà di noci novelle e altre prelibatezze.

“Risvegliandosi” poi dalla sua trasformazione, ritornato umano, Bottom ricorda di aver avuto una straordinaria esperienza, che lui chiama “most rare vision”, un sogno che nessun uomo può spiegare; l’asino Bottom ha visto la regina delle fate, la “Fairy Queen”. Anche Lucio ha una strana visione: addormentandosi, la regina dei cieli, “the queene of heaven”, gli appare per rispondere alla sua preghiera di poter riacquistare la sua forma umana, e quando si sveglia narra i dettagli della sua visione (XI.7;118).

Infine, e ricollegandosi anche all’inizio di entrambe le opere, che presentano i fatti accaduti come simili alla logica del sogno, la conclusione di A Midsummer Night’s Dream, come anche quella della legenda di Psiche, hanno collegamenti con il sogno: Puck, verso la fine della commedia, crea una nebbia fitta e scura (“Drooping fog as black as Acheron”, dove “Acheron” è spesso sinonimo di Hades, come fa notare McPeek [42]), e con essa induce gli amanti ad un sonno profondo; similmente, quando Psiche risale dall’Ade con il cofanetto datole da Proserpina per Venere, lo apre e dentro non vi trova altro che sonno, un sonno profondo e veramente mortale che, appena liberato dal coperchio, l’assalì, si sparse per tutte le sue membra con una densa nube di sopore, e la prese lì proprio sui suoi passi e sulla strada dove cadde. E lì giaceva immobile, come un cadavere addormentato. (Libro VI, 21, 4-7)

Un verso questo che Oberon probabilmente riprende, a parole sue, quando dice: “Till o’er their brows death-counterfeiting sleep / With leaden legs and batty wings doth creep”. Infine, come Cupido toglie il sonno dagli occhi di Psiche, e chiede a Giove di interferire e contrariare il volere di Venere, affinché i due amanti possano finalmente sposarsi, così anche Puck dà il succo magico agli amanti, che si risvegliano e, incontrato Teseo, egli fa valere, proprio come Giove, il proprio potere, contrariando il volere del padre di Ermia, e permettendo così agli amanti ateniesi di sposarsi assecondando  il loro desiderio.

2.2 – LO SPOSO ANIMALE

L’aspetto più esilarante e nello stesso tempo più significativo della trasformazione di Bottom è senza dubbio la passione di Titania nei suoi confronti. Quando Titania, ridestatasi dal suo sonno, e sotto l’influsso del succo magico, vede per la prima volta Bottom, trasformato in asino, se ne innamora:

What angel wakes me from my flowery bed?   (III, i, 122)

E pochi secondi dopo:

I pray thee, gentle mortal, sing again!

Mine ear is much enamoured of thy note.

So is mine eye enthralled to thy shape [43],

And thy fair virtue’s force perforce doth move me

On the first view to say, to swear, I love thee.   (III, i, 130-134)

Al di là della derivazione da specifiche fonti classiche, la metamorfosi dell’amante in animale, qui rappresentato da Bottom che diventa asino, e della devozione appassionata e fedele della donna nei suoi confronti, è un motivo universalmente diffuso non solo nella tradizione letteraria, ma anche nel folklore. Fiabe di tutti i paesi contengono storie analoghe a quella di Amore e Psiche, che rappresenta la più antica versione letteraria de La Bella e la Bestia. Si tratta del motivo dello sposo animale, registrato nell’indice Aarne-Thompson come tipo 425. Nelle fiabe di questo tipo una giovane ragazza è costretta a sposare un essere mostruoso, un animale (che può avere, secondo le varie tradizioni, le sembianze di un lupo, un orso, un granchio, un asino in una versione Indù della favola, e spesso un serpente) che però di notte si rivela essere un bel principe. Per non perdere il marito, la giovane deve mantenere il segreto, per cui, una volta trasgredito l’ordine, è costretta ad  una lunga serie di peripezie per ritrovare il suo uomo.

Le interpretazioni che sono state date di questi due elementi (trasformazione in animale e amore per un essere mostruoso) sono innumerevoli. In relazione ad esse varia anche il significato attribuito al loro inserimento in A Midsummer Night’s Dream.

Si possono sinteticamente indicare tre tipologie interpretative. La prima si potrebbe definire di carattere storico-antropologico. E’ quella che rintraccia nei miti e nelle fiabe la presenza di antichissime usanze praticate nelle società tribali e che tende comunque a stabilire relazioni tra riti, celebrazioni, tradizioni popolari ed elementi simbolici propri della cultura.

E’ stato lo studioso Vladimir Propp nell’opera Radici storiche dei racconti di fate ad avanzare per primo l’idea che le fiabe di magia abbiano un’origine antichissima collegata ai rituali di iniziazione delle società di clan di cacciatori e raccoglitori [44]. Sicché gli elementi strani e simbolici  presenti nelle fiabe (come ad esempio quello dello sposo animale) troverebbero spiegazione nelle varie espressioni dei riti di iniziazione che segnavano il passaggio dei ragazzi alla società adulta.

Seguendo un percorso interpretativo del genere, con riferimento alla trasformazione dell’uomo in animale e in particolare in asino presente in A Midsummer Night’s Dream, sono state richiamate due manifestazioni rituali carnevalesche, entrambe presenti in epoca Elisabettiana. In esse l’asino compare come il protagonista principale. Durante i giorni del carnevale, si usava, anche alla presenza di sacerdoti, portare un asino in chiesa.  Spesso, asini travestiti da sacerdoti e vescovi venivano portati alle feste in maschera a corte. L’asino, simbolo e immagine di ciò che di più basso vi è sulla terra, appariva in questi riti carnevaleschi come mediatore tra la terra e il cielo, in grado di trasformare il sacro in profano, l’ultraterreno in terreno. L’asino è presente, d’altra parte, anche nel Nuovo Testamento, quando Gesù entra per l’ultima volta in Gerusalemme, giusto prima della Pasqua e quindi in corrispondenza con i futuri riti di carnevale, in groppa ad un asino.

Un altro rito cui sembra riferirsi l’episodio di A Midsummer Night’s Dream è quello dell’uomo di basso rango, che, sempre durante il carnevale, veniva incoronato re e, dopo il suo breve regno, spodestato e preso in giro. Ed è proprio quello che accade a Bottom, introdotto nella corte di Titania, incoronato con fiori e adulato con canzoni, per poi essere anch’egli spodestato e, svegliandosi dal suo “sogno”, rendersi conto di avere soltanto interpretato la parte dell’asino per l’intrattenimento a corte.

La seconda tipologia interpretativa viene proposta soprattutto dalla scuola psicanalitica. Fu in primo luogo Jung a mettere in relazione le immagini mitologiche con l’inconscio: fiabe, miti e simboli esprimerebbero situazioni, istanze, conflitti e principi della nostra psiche [45]. Così questa fiaba non è che lasceneggiatura del principio femminile”: essa rappresenterebbe il percorso di individuazione, inteso come conquista della propria unicità psichica e percezione del Sé come centro regolatore, unificatore e guida della personalità.

Ad una lettura più attenta della fiaba di Amore e Psiche si è dedicato anche lo psicanalista Erich Neumann, il quale, proprio partendo dalla fiaba, ha analizzato tutti i passaggi della psiche femminile dalla totale indifferenziazione al rapporto vero con il maschile per giungere al matrimonio sacro in cui c’è la realizzazione dell’incontro di due individualità separate e distinte [46].

La terza tipologia interpretativa, che mette in luce soprattutto i rimandi alla tradizione culturale classica, con particolare riferimento nel nostro caso ad Apuleio, si potrebbe definire di carattere filosofico. Secondo tale interpretazione L’asino d’oro nel suo complesso e la favola di Amore e Psiche in particolare sarebbero l’allegoria della vicenda dell’anima che, caduta per un fatale errore, attraverso una serie di durissime prove, riconquista alla fine, per l’intervento della Grazia divina, la piena felicità, e con essa l’immortalità. Chi sostiene questa tesi è supportato anche dalla singolare esperienza filosofico-religiosa di Apuleio, il quale, seguace inizialmente della filosofia platonica, ha incluso poi nel suo pensiero tradizioni ermetiche e magiche per approdare infine al culto misterico di Iside. E proprio all’analisi della relazione tra lo sviluppo narrativo del racconto di Amore e Psiche e le fasi rituali di tale culto Reinhold Merkelbach dedica il saggio introduttivo all’edizione della Rizzoli delle Metamorfosi di Apuleio, spiegando che secondo lui l’innamoramento di Cupido per Psiche rappresenta l’immagine della caduta del divino nella materia da un lato, e dall’altro appunto la prova che la divinità (Eros) aiuta l’anima (Psiche) a riprendere la via del ritorno verso la patria ultraterrena [47].

Seguirò ora l’applicazione di questo tipo di interpretazione, riferita alla vicenda di Bottom e Titania, e più complessivamente al significato di A Midsummer Night’s Dream, attraverso lo studio di Kott [48].

Secondo Kott, nella notte descritta dalla commedia, non è solo Bottom ad essere stato trasformato. Il termine “translation” – egli afferma – è usato in Shakespeare per indicare un’improvvisa riscoperta del desiderio (animale). In realtà anche entrambe le coppie di amanti sono state trasformate: “Am I not Hermia? Are you not Lysander?”   (III, ii, 273), e la metamorfosi di Bottom è soltanto una sintesi degli avvenimenti della foresta. Le leggi della notte svaniscono non appena Bottom riprende il suo aspetto umano. Allora gli amanti, così come Bottom, si svegliano dal loro “sogno”, che “the eye of man hath not heard, the ear of man hath not seen”.

            La fonte di quest’ultimo verso è sicuramente la prima lettera di San Paolo ai Corinzi (“Eye hath not seen, nor ear heard” [49]), che, come fa notare Kott, in una versione del Geneva New Testament del 1557, pochi versi più avanti recita: “the Spirite searcheth all tinge, ye the botome of Goddes secrettes”, motivo per cui probabilmente l’artigiano Ateniese ha ereditato il suo nome da questa antica versione dei passi di San Paolo. Bottom, dopo la trasformazione in asino, trasforma il verso di san Paolo a modo suo, chiedendo a Peter Quince di scrivere una ballata sul suo sogno.

Eco dei versi di san Paolo si trova anche nel monologo di Elena sull’amore:

Things base and vile, holding no quantity,

Love can transpose to form and dignity.   (I, i, 232-233)

che riprende sia la versione ufficiale della Bibbia “and base things of the world” sia quella più antica“and vile things of the worlde”.

Entrambi i versi, sia il monologo di Bottom che quello di Elena, si riferiscono alla trasformazione di Bottom in asino e al tempestivo innamoramento di Titania per un mostro, entrambe situazioni, come abbiamo visto, ereditate dall’Asino d’Oro di Apuleio.

Kott si chiede perché i versi di Apuleio, così come quelli di San Paolo, siano qui stati rievocati, e perché siano entrambi inseriti nella drammatica trasformazione di Bottom [50]. Egli nota come entrambi i testi erano molto diffusi nel XVI e XVII secolo e come essi venivano ricollegati alla tradizione Neoplatonica, o ermetica.

Con la prima lettera ai corinzi San Paolo avrebbe voluto far vedere come, attraverso la trasformazione di qualcosa per mezzo delle leggi della logica simbolica, possa essere scoperta la struttura profonda e l’essenza dell’Essere. Ed è proprio questa essenza che viene rappresentata probabilmente nella commedia da “things base and vile”, ciò che poi Freud chiamerà inconscio, o Es.

Nella visione Neoplatonica, come riferisce Kott, una Venere celeste è situata al di sopra dell’intelletto, una Venere animale al di sotto. Il desiderio animale diviene quindi un passo necessario per la scoperta dello spirituale, del divino. Attraverso il fondo si arriva alla superficie: Kott usa la metafora della montagna riflessa in un lago, in cui la cima della montagna viene vista in profondità.

La leggenda di Psiche porta dunque all’elevazione, attraverso le sofferenze dell’amore, al piacere eterno [51]. Apuleio è stato spesso letto, d’altra parte, come allegoria cristiana o platonica di estasi mistica e furia divina [52]. Secondo la concezione platonica, quindi, i segni dell’elevazione intellettuale e spirituale sono raggiungibili dopo l’abbassamento verso il fondo.

La storia di Psiche può essere perciò vista come una versione mitica della metamorfosi di Lucio, poiché anch’egli, attraverso l’abbassamento ad una condizione animale, riesce infine a risalire verso la cima e raggiungere la tranquillità spirituale.

La stessa cosa si può dire per Bottom e per gli amanti di A Midsummer Night’s Dream. A dare un simile significato alla sua commedia, Shakespeare sarebbe stato influenzato, secondo McPeek, dal traduttore inglese di Apuleio, Adlington. Quest’ultimo, nella sua introduzione al lettore, per spiegare l’apparente superficialità de L’asino d’oro, trova una giustificazione ed un significato morale importante per l’intera narrazione: attraverso le imprese del protagonista – egli dice – ogni uomo può conoscere meglio il proprio presente, e trasformarsi nel meglio di sé stesso: “Be rather induced to the knowledge of their present estate, and thereby trasforme them selves into the right and perfect shape of men”.

Shakespeare, prendendo per buono il motivo centrale dell’opera di Apuleio proposto da Adlington, presenta una tesi analoga con la sua commedia: attraverso una metamorfosi spirituale, inspiegabile e misteriosa, gli amanti sono stati in grado di ritrovare il lato migliore di sé stessi; attraverso la spinta dal basso, sono riusciti a raggiungere la cima. Attraverso un amore animale, folle, sono riusciti a ritrovare quell’amore spirituale di cui avevano bisogno. Allo stesso modo, Apuleio mostra come la gente “wondred at the visions which they sawe in the night, and the facilitie of my reformation, whereby they rendered testimony of so great a benefite which I receaved of the Goddesse”.

2.3 PUCK

A dare a Bottom l’aspetto di asino è stato, come si è visto, Puck, personaggio chiave della commedia, che sembra possedere e gestire direttamente il potere magico della trasformazione. Egli non soltanto trasforma Bottom e le inclinazioni amorose dei giovani ateniesi, ma possiede egli stesso la capacità di trasformarsi a suo piacimento:

PUCK

Sometime a horse I’ll be, sometime a hound,

A hod, a headless bear, sometime a fire;

And neigh, and bark, and grunt, and roar, and burn,

Like horse, hound, hog, bear, fire, at every turn

(III, i, 107-110)

Questa capacità, che Garber riconduce al mondo dei sogni, del subconscio e dell’irrazionale [53], del quale la foresta popolata da Oberon, Titania, Puck, le fate, sarebbe una metafora,  è un potere posseduto anche da un personaggio tipico del folklore, e non solo inglese: quello del  folletto, l’Hobgoblin, conosciuto appunto con il nome di Puck, o di Robin Goodfellow, al quale il Puck di Shakespeare sembra riferirsi.

Nel Galles questo folletto prende il nome di Pwca, in Irlanda di Phouka, Pooka o Puca. Ma si tratta soltanto di alcuni degli innumerevoli nomi con cui è conosciuto. Parole simili esistono in molte lingue antiche, per lo più aventi come significato originario un demone, il Diavolo, il Male o uno spirito maligno. Pouk era infatti un termine tipicamente medievale per indicare il Diavolo, e il Phouka era a volte raffigurato come una creatura spaventosa con la testa di un asino.

Nella tradizione folkloristica, tuttavia, le caratteristiche prevalenti di questa figura non sono di carattere demoniaco, quanto piuttosto di carattere scherzoso. Si tratta quasi sempre di uno spiritello burlone, proprio come è descritto da Shakespeare:

 

FAIRY:

Either I mistake your shape and making quite

Or else you are that shrewd and knavish sprite

Called Robin Goodfellow? Are not you he

That frights the maidens of the villagery,

Skim milk, and sometimes labor in the quern,

And bootless make the breathless housewife churn,

And sometime make the drink to bear no barm,

Mislead night-wanderers, laughing at their harm?

Those that Hobgoblin call you, and sweet Puck,

You do their work, and they shall have good luck.

Are not you he?

PUCK:

Thou speakest aright:

I am that merry wanderer of the night.

I jest to Oberon, and make him smile,

When I a fat and bean-fed horse beguile,

Neighing in likeness of a filly foal;

And sometime lurk I in a gossip’s bowl

In very likeness of a roasted crab,

And, when she drinks, against her lips I bob,

And on her withered dewlap pour the ale.

The wisest aunt, telling the saddest tale,

Sometime for three-foot stool mistaketh me;

Then slip I from her bum, down topples she,

And ‘tailor’ cries, and falls into a cough;

And then the whole quire hold their hips and laugh,

And waxen in their mirth, and neeze, and swear

A merrier hour was never wasted there”.  (II, i, 32-57)

Le moltissime apparizioni, comunque, che nel corso dei secoli si registrano di questa figura fatata contengono tutte la capacità di cambiare forma: può assumere la forma di un’aquila, di un cavallo e anche di un asino. In un dipinto di William Blake del 1785, viene raffigurato con l’aspetto del Pan della mitologia Greca.

Tale caratteristica del folletto del folklore, e quindi di Puck, la capacità cioè di trasformarsi in animali, potrebbe essere collegata, sulla scia della interpretazione antropologica di Propp, con i miti celtici e con l’antica pratica dello sciamanismo. Lo sciamano, usando proprio la tecnica della trasformazione in animale, era in grado di recarsi nel mondo degli spiriti  per combatterli ed ottenere dei benefici per i singoli o per la comunità [54].

Altri critici di A Midsummer Night’s Dream tendono invece a sottolineare la parentela della figura di Puck con personaggi della mitologia classica. Come notato in precedenza, molte caratteristiche di Puck sono infatti affini e ricollegabili a Cupido. La maschera più popolare e utilizzata, sia per le feste a corte che durante i matrimoni, era in realtà quella di Cupido. Ma il Cupido rinascimentale, che appare diverse volte nei discorsi poetici di A Midsummer Night’s Dream, ha un nome ed un costume, così come una lingua, differenti da quelli del Cupido classico. Si potrebbe dire che il Cupido bendato è, in A Midsummer Night’s Dream, “inglesizzato”, per usare un termine caro a Lucking, così come anche a Kott [55], o “trasformato”, “translated”, in Puck, o Robin Goodfellow. Shakespeare sembra dunque fondere in quest’opera immagini mitologiche delle maschere di corte con i riti di carnevale; le frecce di Cupido sono sostituite dal succo magico dell’amore, anche se nei discorsi si mostra come questo succo provenga da un fiore che era diventato rosso dopo essere stato colpito da una delle frecce del dio mitologico; il ché sembrerebbe anche essere un richiamo alla metamorfosi di Piramo e Tisbe in Ovidio, dove un fiore, bagnato dal sangue degli amanti, diventa rosso.

Fa notare Barkan come Shakespeare, sulla scia di molti rinascimentali “ovidiani”, sia più interessato nella trasformazione come causa che nella trasformazione come conseguenza. Quindi, in A Midsummer Night’s Dream, Shakespeare trasferisce la metamorfosi dalla fine all’inizio della storia: invece di essere un modo per ricordare il sangue versato dai due amanti morti (in Ovidio), diviene una causa dell’amore passionale degli amanti ateniesi, vivi. Lo stesso fiore rosso è un emblema della metamorfosi che avviene attraverso l’amore e, più importante, diviene l’ispirazione per le metamorfosi della passione [56]. La metamorfosi è stata dunque essa stessa trasformata.

Nelle maschere di corte, tuttavia, accanto alla figura mitologica del dio Cupido, ve ne era sempre un’altra, quella di Mercurio, il suo messaggero. In A Midsummer Night’s Dream questa figura del messaggero degli dei sembra non esserci. Tuttavia, alcune delle sue caratteristiche ci incuriosiscono e ci fanno riflettere. Mercurio, infatti, in quasi tutte le tradizioni folkloristiche, appartiene alla famiglia dei “trickster” (ingl. Ingannatore): si tratta di una divinità (essere spirituale, uomo, donna o animale antropomorfico) lussuriosa e vorace, abile nell’imbroglio e caratterizzata da una condotta amorale, al di fuori delle regole convenzionali. In forma umana viene spesso raffigurato come un maschio, che a volte può anche assumere caratteristiche femminili, dotato di abnormi parti anatomiche, come nariciorecchieboccaano, ecc. Come mediatore tra dei e uomini, il trickster inganna sia gli uni che gli altri; egli impersona la mobilità e la mutevolezza, e trascende ogni limite abbattendo le gerarchie. Trasforma tutto nel suo contrario, rovesciando tutto sotto sopra, e creando un nuovo ordine nel caos del mondo.

Il Puck di A Midsummer Night’s Dream sembrerebbe allora essere una fusione di Cupido e Mercurio in un unico essere: accogliendo le caratteristiche dell’uno e dell’altro, egli assolve compiti che la tradizione mitologica assegna invece a figure differenti.

Un’ultima correlazione metaforica vorrei aggiungere a quanto detto fin qui a proposito del personaggio Puck. La faccio sulla scorta di una riflessione di Italo Calvino in Lezioni americane, dove, parlando della leggerezza, chiama in causa lo sciamano. Egli scrive:

Alla precarietà dell’esistenza della tribù, – siccità, malattia, influssi maligni – lo sciamano rispondeva annullando il peso del suo corpo, trasportandosi in volo in un altro mondo, in un altro livello di percezione, dove poteva trovare le forze per modificare la realtà. […] E’ questo dispositivo antropologico che la letteratura perpetua. […] Non mi pare una forzatura connettere questa funzione sciamanica e stregonesca documentata dall’etnologia e dal folklore con l’immaginario letterario; al contrario penso che la razionalità più profonda implicita in ogni operazione letteraria vada cercata nelle necessità antropologiche a cui essa corrisponde [57].

Insomma, dietro la figura di Puck, che richiama lo sciamano, ci sarebbe proprio il poeta, lo scrittore: anch’egli, come il folletto di A Midsummer Night’s Dream, è in grado di ingarbugliare e poi districare la realtà, di giocare con le emozioni ed i sentimenti, di risolvere magicamente le situazioni, di “mettere il mondo a testa in giù”, e poi di ristabilire l’ordine dal caos.

2.4 – MIDSUMMER NIGHT

Verso la fine della commedia, dopo lo spettacolo di Piramo e Tisbe, tutti i personaggi escono di scena. Poco dopo riappare Puck, con una scopa in mano:

 

I am sent with broom before

To sweep the dust behind the door   (V, i, 380-381)

La scopa è un oggetto comunemente associato alla figura di Robin Goodfellow. Come fa notare Kott, in quest’atto di scopare il pavimento, rimuovendo la polvere da dietro la porta, si può scorgere un senso di tristezza e malinconia [58]. Puck rimuove la polvere come farebbe chiunque in casa. Ma questo atto di scopare e rimuovere la polvere compare spesso nei rituali carnevaleschi e primaverili, in Inghilterra come anche in Francia o Italia. Il simbolismo di questo atto è ricco di significato: rimuovere la polvere è infatti un simbolo usato per indicare la fine e l’inizio di un nuovo ciclo. Si pulisce una stanza, si scopa a terra, dopo un funerale o prima di un matrimonio. Allo stesso modo Puck, nella commedia, è mandato con una scopa per spazzare, a simboleggiare una morte (quella di Piramo e Tisbe), e di un matrimonio, segno di rinnovamento. [59]

Il gesto di Puck e il suo significato rimandano quindi ancora una volta al significato complessivo di A Midsummer Night’s Dream, alla sua relazione con il mondo della cultura e della tradizione ed al tema della metamorfosi. Ci si riferisce in questo caso ai cosiddetti “riti di maggio”.

Molti critici, come riferisce Anca Vlasopolos, hanno spesso esitato nel considerare i riti di maggio, così come quelli del giorno di San Giovanni, come significativi per la struttura dell’intera opera. [60] Secondo la Vlasopolos, invece, A Midsummer Night’s Dream ricalca la struttura e il dualismo cristiano-pagano di entrambi i riti. Temi quali la luna, gli occhi e le piante magiche diventano elementi centrali per la riconciliazione dell’amore naturale e vero con quello legale e legittimo. Il percorso degli amanti ateniesi attraverso le leggi della notte fino alla luce del giorno sacro, ricalca infatti la natura pagana della festa di Mezza estate e la sua conclusione cristiana. La fertilità del rito pagano porta gli amanti a ritrovare l’armonia tra di loro, il giorno sacro di San Giovanni Battista invece permette la loro integrazione nella società e la santificazione del loro matrimonio.

Molti hanno ignorato l’importanza di questi riti per una corretta lettura di A Midsummer Night’s Dream, e ciò si può facilmente notare osservando la traduzione del titolo dell’opera fatta in alcuni paesi europei, nei quali comunque la festività del 24 giugno, il giorno di San Giovanni, .e la sua connotazione miracolosa, erano ben noti. Nonostante ciò, nel tradurre il titolo della commedia, tale aspetto ritualistico e sacro viene semplicemente trascurato: “Midsummer” diventa semplicemente “Summer”. In francese, ad esempio, il titolo più comunemente usato per quest’opera è “Le Songe d’une nuit d’eté”, titolo che sicuramente elimina l’idea del rito. Si è spesso parlato, come afferma la Vlasopolos, a questo proposito, della difficoltà per il pubblico francese di comprendere a pieno una commedia ambientata in un mondo completamente diverso dal loro, perché totalmente inglese. Secondo la critica, però, se nell’opera tradotta vi fossero stati dei riferimenti alla festa francese di La Saint Jean, gli spettatori avrebbero accettato più facilmente la magia e il folklore presenti nell’opera.

Coerentemente a quanto afferma Eco, e a quello che fa Golding nelle sue Metamorfosi, la Vlasopolos dice “When a play is rooted in a tradition, to ignore its relation to the life around it is to obscure its meaning”. [61]

Frye si chiede come mai questa commedia sia stata intitolata A Midsummer Night’s Dream, a cosa voglia alludere il titolo [62]. L’azione principale, fa notare Frye, ha luogo il giorno dei riti di Maggio; questi riti avvengono durante il solstizio d’estate, nella terza settimana di giugno, che per noi corrisponde all’inizio dell’estate, ma in passato era chiamata “midsummer” in quanto vi erano soltanto tre stagioni, la primavera non esisteva. Successivamente il calendario cristiano fissò la celebrazione della nascita di Cristo nel solstizio invernale, e celebrò, nel solstizio estivo (24 giugno), la festa di San Giovanni Battista. In questo giorno particolare, l’idea comune e popolare era che durante la notte vi fossero spiriti forti ma non necessariamente cattivi; gli spiriti cattivi devono scomparire con la luce del sole. Tuttavia, da quello che possiamo capire dalle parole di Oberon, gli spiriti che popolano questa foresta sono “spirits of another sort”, non malvagi né forzati all’oscurità. Quindi probabilmente, secondo Frye, il titolo A Midsummer Night’s Dream vuole soltanto enfatizzare la differenza tra i due mondi di azione, quello dominato dalla luce del sole e da Teseo e quello dei folletti guidati da Oberon.

In generale, i critici hanno idee discordanti sui riti presenti in A Midsummer Night’s Dream: alcuni vedono nella commedia soltanto vaghi accenni alle due festività, e asseriscono che i riti di maggio e quelli di Mezza estate sono intercambiabili. Altri vedono la relazione tra l’opera e i riti di Mezza estate come forzata e fuori tempo. Altri, che differenziano nettamente le due festività, vedono echi della festa di Mezza estate in A Midsummer Night’s Dream, ma negano il suo lato cristiano, riducendo così il significato del rito.

L’importanza del 24 di giugno, giorno di San Giovanni, non può essere però separata dalla controparte pagana dei riti della notte di mezza estate. Ancora oggi moderni gruppi neopagani e neodruidici celebrano il giorno di “Midsummer”, la Mezza estate. E molti sono i riti solstiziali che si svolgono in particolare a Stonehenge, in Inghilterra, richiamando nel sito ancora carico di misteri migliaia di persone ogni anno. I giorni solstiziali includono alcune fra le celebrazioni più popolari dell’Occidente perché, basandosi sul dato che il sole trionfa nel cielo, le antiche tradizioni collegavano questo periodo dell’anno con la comunicazione diretta fra visibile e invisibile. Anche se cristianizzata con la festa di San Giovanni Battista, questa giornata presenta dunque ancora caratteristiche mitiche e magiche. Caratterizzata infatti da esorcismi di demoni maligni e da riconciliazione e riavvicinamento, la festa di San Giovanni Battista segue gli strani riti della notte che precede il 24 giugno, i riti della notte di Mezza estate. Secondo l’Enciclopedia Cattolica “la festa di san Giovanni Battista è quella che da luogo alle più importanti e caratteristiche manifestazioni del culto popolare in tutti i paesi dell’Europa”, una tra le feste più antiche introdotte sia nella liturgia Greca che in quella romana, per onorare un santo. Inoltre il giorno di San Giovanni è diverso da tutti gli altri giorni dell’anno perché è l’unico, oltre al Natale, che celebra la natività di un santo, piuttosto che la sua morte, collegandolo quindi al tema della procreazione, centrale in A Midsummer Night’s Dream.

Fa notare Vlasopolos come vi siano elementi magici, presenti sia nel rituale pagano che in quello cristiano, quali l’acqua e le piante, che permettono di ricollegare con facilità questi riti alla commedia di Shakespeare; la luna e i suoi richiami alla rugiada in A Midsummer Night’s Dream, ad esempio, permettono di associare le proprietà magiche dell’acqua nei riti di Mezza estate, nei quali essa era vista come capace di allontanare gli spiriti maligni e le imperfezioni del corpo [63]. Quindi Oberon, con la sua benedizione alla fine della commedia:

 

With this field dew consecrate

Every fairy take his gait,

And each several chamber bless

Through this palace with sweet peace.   (V, i, 406-409)

allo stesso modo dell’acqua miracolosa nei riti, utilizza la “rugiada sacra”, o “field dew consacrate”, per proteggere e benedire gli amanti appena sposati, proteggendoli con la propria magia.

Inoltre le piante magiche, che nella commedia svolgono un ruolo fondamentale, sono state ricollegate a delle piante usate di frequente nei riti di Mezza estate: il “Dian’s bud”, per esempio, che nella commedia serve a curare le imperfezioni degli occhi causate dal fiore di Cupido, è stato associato, per via del suo potere curativo, ad un’altra pianta usata durante questi riti, ovvero la Artemisia vulgaris, chiamata anche pianta di San Giovanni; il potere di questa pianta nel curare diverse malattie, quali l’impedimento della vista e l’avvelenamento, è accertato; e durante i riti di Mezza estate la pianta di San Giovanni era spesso usata per il suo potere curativo. Proprio per questo sua proprietà, dunque, la pianta può essere facilmente associata al “Dian’s bud” di A Midsummer Night’s Dream, anch’esso capace di curare gli occhi dopo che il succo magico dell’amore era stato spremuto ed aveva avuto il suo effetto su di essi. Tra l’altro questa pianta è stata spesso associata a Diana (si legge infatti nell’Herbarium di Apuleio che la dea scoprì questa pianta e ne attestò il suo potere sul centauro Chirone).

Come rito, quello di Mezza estate rappresenta un cambiamento, una trasformazione interiore che permette all’uomo di ritrovare l’armonia con la natura, una corrispondenza tra l’animato e l’inanimato, tra macrocosmo e microcosmo.

I litigi tra Oberon e Titania, l’assenza del loro amore coniugale, mostrano la stretta relazione tra sessualità e ordine cosmico: il loro distacco ha portato il caos tra le acque e i venti, il decadimento della vita vegetale e animale, e la fine della felicità per l’uomo, facendo emergere la credenza secondo la quale il sesso è direttamente collegato alla fertilità della vegetazione.

Questo è ciò a cui Puck allude, mostrando la pace che avviene da una sessualità appagata, quando dice:

 

And the country proverb known,

That every man should take his own.

In your waking shall be shown.

Jack shall have Jill;

Naught shall go ill.

The man shall have his mare again, and all shall be well.   (III, ii, 458-464)

 

Quando le condizioni per la fertilità sono state assicurate nel bosco, resta soltanto l’integrazione nella società. Non appena la notte di Mezza estate si dissolve, lasciando il posto al giorno di San Giovanni, gli amanti vengono benedetti, affinché la loro funzione procreativa venga assicurata, lasciando che la luce cristiana confermi e renda sacro il compimento del rito notturno.

Una volta compiuto il rito pagano, gli amanti si risvegliano alla vista della nuova luce cristiana, accettando di sposare chi per loro è stato designato e assicurandosi così la salvezza.

Negare quindi l’importanza dei riti in A Midsummer Night’s Dream, è come derubare, secondo Vlasopolos, la commedia del suo aspetto più universale, e cioè quello di aver racchiuso in sé un momento di una raggiunta armonia, con una trasformazione, nella vita umana, attraverso il mezzo più adatto allo scopo, e cioè l’arte [64].

Ancora una volta, quindi, è toccato proprio a Puck, che per l’intera durata della commedia ha rappresentato la mutevolezza e la trasformazione, oltre ad esserne l’artefice, a significare, attraverso il suo gesto finale, il cambiamento ormai avvenuto nelle vite dei quattro amanti, così come in quelle di Oberon e Teseo e delle loro mogli, e in quelle di Bottom e della sua compagnia di attori. Spazzando via la polvere dalla scena, Puck rappresenta dunque le metamorfosi che avvengono in continuazione nella vita di ognuno di noi, sopra e sotto il palcoscenico; e diviene infine anche immagine di tutte quelle trasformazioni che il teatro realizza, trasformando la realtà secondo i suoi scopi, diventando uno specchio, o per usare le parole di Teseo, un’ombra, di tutto ciò che noi chiamiamo realtà.

Cap. III – THE MOST LAMENTABLE COMEDY”: TETRO TRA GIOCO, RITO, E METAMORFOSI

All the world’s a stage,
And all the men and women merely players:
They have their exits and their entrances;
And one man in his time plays many parts.

(William Shakespeare, As you Like)

“La vita in tutte le sue manifestazioni obbedisce a due principi dialetticamente opposti: da un lato essa tende a perpetuarsi nelle forme, dall’altro tende a trasformarsi ed a rinnovarsi. Se una delle due tendenze prevalesse assolutamente sull’altra, molto probabilmente la vita sarebbe esposta a gravissimi pericoli” [65]. Questo è quello che si può osservare in A Midsummer Night’s Dream, attraverso la netta distinzione tra Atene, che tende all’ordine e alla stabilità, e la foresta, la cui essenza, come si è visto, è la trasformazione. Una delle attività che rendono possibile la trasformazione nella vita dell’uomo sembrerebbe essere la creatività; il massimo di questa attività creativa ed inventiva trova la sua manifestazione evidente nel gioco.

Diverse sono state le teorie che hanno tentato di dare una spiegazione scientificamente valida del gioco, da sempre presente nella vita degli uomini così come in quella degli animali. Alcuni hanno pensato che si trattasse di un problema di canalizzazione di energie: il bambino manifesterebbe infatti una sovrabbondanza di energia, e quindi il gioco potrebbe essere considerato come una scarica di energia in eccesso. La psicanalisi vede invece nel gioco uno sfogo di istinti repressi, quindi lo vede come una attività catartica, purificatrice di complessi che altrimenti risulterebbero dannosi. Queste teorie hanno sottolineato più la parte subcosciente che influisce nell’attuazione del gioco. Altre teorie hanno invece collegato il gioco al passato ed al futuro: alcune vedendo il gioco come un ritorno ad attività antiche ormai quasi cancellate dalla trasformazione della società, che riemergono al di sotto dello strato civilizzato nelle forme spontanee del gioco dei bambini; altri ritengono che il gioco sia una inconsapevole preparazione del bambino verso la vita adulta, uno sviluppo di percezioni e sensi che altrimenti sarebbe difficile far sviluppare, e che attraverso il gioco, anche se svolto senza secondi fini, permettono al bambino di crescere.

In questo capitolo si cercherà di cogliere le somiglianze inerenti la struttura del gioco e quella del teatro, mostrando come essi sembrino essere l’uno la continuazione dell’altro; e come ciò che la società imporrebbe di mettere da parte una volta che un individuo diventa adulto, riemerga con una forza simile a quella precedente, proprio attraverso il teatro; così il teatro permette, non soltanto a chi lo “gioca”, ma anche a chi assiste al “gioco”, di godere momentaneamente di una spensieratezza e di una libertà apparentemente riservata soltanto ai bambini.

Sono in molti a ritenere che il gioco sia fortemente collegato con la creazione continua, con l’arte e con l’imitazione, elementi propri anche del teatro [66]. Il bambino, infatti, interpreta e trasforma la realtà attraverso la fantasia e il sentimento, fonti alle quali attinge la nostra creatività. Attraverso fantasia e sentimento l’uomo (e in ciò si differenzia dall’animale) è in grado di utilizzare la funzione sostitutiva del simbolo: interiorizza e rappresenta il mondo dentro di sé, per esternarne poi gli atteggiamenti più adatti alla situazione.

Caillois divide il gioco in alcune categorie, una delle quali, la “mimicry”, comprenderebbe anche l’interpretazione e la rappresentazione teatrale; questo termine inglese indica il mimetismo degli insetti, e fornisce uno straordinario riscontro al gusto dell’uomo di mascherarsi, travestirsi, sostenere una parte. Caillois crede che la mimicry sia un’invenzione continua che presenta tutte le caratteristiche del gioco (libertà, sospensione del reale, spazio e tempo delimitati) tranne una: non è soggetta al dominio di regole imperative e precise perché dissimula la realtà e ne simula un’altra [67]. Così la regola del gioco è unica: consiste, per l’attore, nell’affascinare lo spettatore, evitando che un eventuale errore porti quest’ultimo a rifiutare l’illusione; e consiste, per lo spettatore, nel prestarsi all’illusione.

Ciò rispecchia la teoria contenuta nel Paradosso sull’attore di Diderot: egli si scaglia contro il teatro divenuto divertimento frivolo e propone il suo rinnovamento attraverso l’imitazione della natura [68]. L’attore di Diderot deve allenare il suo autocontrollo emotivo in modo da far sembrar vero ciò che invece è finto, mentre lo spettatore deve essere disponibile a lasciarsi ingannare, per uscire dal teatro trasformato e arricchito.

Si può notare, soffermandosi sul “play-within-a-play” in A Midsummer Night’s Dream, ovvero la messinscena da parte degli artigiani ateniesi di “the most lamentable comedy and most cruel death of Pyramus and Thisbe”, e sulla volontà di Bottom di interpretare qualsiasi ruolo venga presentato, come la somiglianza del teatro con il gioco sia stretta: così come il gioco, anch’esso sembra essere qui una lotta per qualche cosa, una gara tra chi meglio riesce a rappresentare qualcosa.

BOTTOM: That will ask some tears in the true performing of it. If I do it, let the audience look to their eyes. I will move storms. I will condole, in some measure. [69]   (I, ii, 21-24)

Il bambino, così come Bottom, e come lui altri attori di ogni tempo e luogo, rappresenta qualcosa di diverso e più bello di ciò che di solito è. Può trasformarsi in un principe o in un padre, in una strega, ma anche in un leone, in asino e persino in un muro; raggiungendo uno stato del “credere di essere”, senza perdere però la coscienza della realtà. Ho già parlato di come Bottom si immedesimi tanto nella parte di Piramo, da pensare di essere davvero ciò che dice di essere:

 

I, Pyramus, am not Pyramus, but Bottom the weaver.   (III, i, 19)

A tal proposito Diderot parla anche di degenerazione dei giochi, che si verifica con la contaminazione della realtà, quando il mondo del gioco non è più separato. Nel caso della mimicry, questa corruzione si manifesta quando l’imitazione non è più considerata tale, quando colui che è travestito crede alla realtà della maschera [70].

Ciò accade all’Enrico IV di Pirandello: colui che recita non fa più la parte del personaggio che rappresenta, si convince d’essere quel personaggio e, comportandosi di conseguenza, dimentica il suo vero essere, per un’incapacità a vivere, o perché la vita non è vivibile, o per altro ancora [71].

La separazione tra realtà e illusione è fondamentale sia nel gioco che nel teatro e non è possibile prescindere da essa: anche per l’attore la rappresentazione teatrale è una finzione. Si trucca, si traveste, simula, recita, ma quando cala il sipario e si spengono le luci, ricade nella realtà, altrimenti rischierebbe l’alienazione.

La perdita della propria dignità profonda rappresenta il castigo di colui che non sa limitare al gioco il proprio gusto ad indossare i panni di un’altra personalità. [72]

Gli applausi segnano la fine dell’illusione, a quel punto bisogna saper tornare alla condizione normale, così capita a volte al bambino, immerso nell’universo del gioco, quando all’improvviso è richiamato dall’adulto.

Attraverso questa commedia nella commedia, sembrerebbe quindi che Shakespeare abbia voluto dare una sua interpretazione del teatro, mostrando cosa esso significhi per lui, come esso possa benissimo essere considerato un gioco e messo in atto come fosse tale; a tal proposito secondo Freud, un adulto che vive una vita normalmente seria per un lungo periodo di tempo, può un giorno sconvolgere ancora la relazione  gioco-realtà: ricordandosi della serietà con la quale giocava da bambino, e confrontando il suo gioco con le occupazioni apparentemente serie del presente, può disfarsi del peso impostogli dalla vita e acquistare il piacere dell’umorismo [73].

Prima di continuare con questa teoria sulla somiglianza del teatro col gioco, cercando di trovare in A Midsummer Night’s Dream elementi a conferma di ciò, una digressione andrebbe però fatta sul ruolo che svolge il gioco in relazione al rito e al sacro, mostrando come anche quest’ultimo influenzi ed abbia uno stretto legame con il teatro. Come afferma d’Amico infatti:

L’ipotesi più immediata e volgare sulle origini del Teatro drammatico potrebbe essere quella che lo vede nascere da un gioco: bambini che “fanno i soldati”, bambine che recitano la parte di mamma con la loro bambola. Ripetiamo invece che gli storici sono concordi nel ricercare i suoi precedenti in quella cosa estremamente seria, per tutti i popoli e specie per i più antichi, che è il rito: religioso o civile, di festa o di morte o di guerra [74].

3.1 – DAL GIOCO AL RITO

Il gioco, oltre che a rispecchiare la struttura rappresentativa del teatro, può essere anche ricollegato e associato al rito; Platone aveva già mostrato questa identità tra gioco e azione sacra, includendo nella categoria del gioco le cose di ordine sacro. Egli dice che bisogna considerare seriamente ciò che è serio, ed è Dio che è degno di ogni serietà, mentre l’uomo è fatto trastullo e strumento di Dio. Perciò ogni uomo e donna dovrebbero, secondo Platone, passare la vita giocando i giochi più belli, contrariamente a quella che è la tendenza contemporanea; infatti, ad esempio, essi ritengono la guerra una cosa seria, ma in essa non vi è né gioco né educazione, cose che dovrebbero essere considerate serie. In tempo di pace, continua Platone, bisognerebbe passare la vita come meglio si può, e il modo migliore è vivere giocando, facendo giochi e sacrifici, ballando e cantando, per rendere favorevoli gli dei, respingere i nemici e vincerli in battaglia. In questo modo, Platone, sminuisce il sacro ma eleva il gioco facendolo arrivare fino ai livelli più alti dello spirito [75].

Nell’identificazione del gioco con il sacro, Huizinga considera che la capacità del gioco di raffigurarsi immagini della natura e della religione sia in realtà una funzione poetica, da lui chiamata “funzione ludica”. Per Huizinga, inoltre “quando una forma religiosa ammette tra due cose di ordine diverso, per esempio tra un uomo e un animale, una sacra identità nell’essere, quel rapporto allora non è espresso né chiaramente né esattamente dalla nostra idea d’un rapporto simbolico. L’identità dei due esseri è molto più reale che non il rapporto tra una sostanza e la sua immagine simbolica. E’ un’identità mistica. L’uno si è fatto l’altro. Il primitivo, nella sua danza magica, ‘è’ un canguro. Bisogna però stare in guardia contro i difetti e le differenze delle umane facoltà espressive. Per immaginarci lo stato psichico del primitivo dobbiamo esprimerlo con la nostra terminologia. […] Così noi diciamo che il rapporto tra lui e il suo animale significa per lui un ‘essere’, mentre per noi resta un ‘giocare’” [76].

Nel teatro, così come nel gioco e nel rito, “lo spettacolo è giocato,” per riprendere le parole di Huizinga, “eseguito entro uno spazio realmente limitato, è come una festa, avviene cioè in una sfera gioiosa e libera. E per realizzarlo si isola un mondo particolare di provvisoria validità. Una volta finito, il gioco non finisce però nel suo effetto, bensì si irradia sul mondo ordinario situato al di là, e origina sicurezza, ordine, benessere per il gruppo che celebrava la festa”. E così gli attori artigiani, così come gli amanti ateniesi, ora sposi, una volta finito lo spettacolo ritrovano quell’ordine e quella sicurezza, il benessere che la società e la ragione stessa richiedono.

Huizinga spiega ancora come il gioco sacro sia indispensabile alla salute della collettività, importante per lo sviluppo sociale. E fa vedere come questa sfera del gioco sacro sia quella dove si ritrovano il bimbo e il poeta, insieme con il selvaggio primitivo.

L’interludio di Piramo e Tisbe, alla fine di A Midsummer Night’s Dream, rispecchia tutto ciò; sembrerebbe infatti essere innanzitutto la fase intermedia in un rito di passaggio, che muove i personaggi verso un nuovo gradino della scala sociale, e al termine del quale le tre coppie, finalmente sposate, andranno nei loro letti. Secondo Victor Turner, questa fase transitoria nel processo rituale, è come un intervallo tra un passato momentaneamente sospeso, negato, e un futuro che non è ancora iniziato, “an instant of pure potentiality when everything trembles in the balance” [77].

Spesso interludi del genere venivano preparati per cerimonie liturgiche. Nel capitolo precedente si è accennato ad alcune liturgie, dove il principale attore dell’interludio era un asino, e d’altra parte, ancora oggi in Spagna, nelle festività pasquali, vengono inscenati momenti della vita di Cristo. Secondo Clary, inoltre, il modo in cui gli artigiani di A Midsummer Night’s Dream preparano e inscenano la loro versione del mito di Piramo e Tisbe, non sembrando essere usato per fini religiosi, mostra come un interludio possa essere ripreso da un altro testo e trasformato, adattandolo ad una nuova funzione  specifica, in questo caso un matrimonio [78].

Rappresentazioni del genere sono frequenti in culture di diversi popoli, e spesso sono viste come un’occasione di comunicazione tra diverse classi sociali, al fine di realizzare una comune umanità ad ogni livello [79]. Nel  caso di Piramo e Tisbe, l’intento di una comunicazione tra gli artigiani e i cortigiani porta, comunque, ad un fallimento da parte di entrambe le sfere sociali nel tradurre i simboli di un sistema diverso dal loro, rendendo le avventure sul palco superficiali e vuote, e ridicolo il tentativo degli artigiani di prevenire incomprensioni da parte del pubblico. Probabilmente questo episodio fa vedere le implicazioni che derivano da differenze sociali così ampie. Ciò appare chiaro dalle affermazioni di Ippolita e Teseo mentre osservano lo spettacolo:

           

THESEUS: This fellow doth not stand upon points.  (V, i,118)

HIPPOLYTA: This is the silliest stuff that ever I heard.   (V, i, 209)

e ancora più chiaro dalle preoccupazioni degli artigiani nel non offendere gli ospiti a corte, ben riassunte nel prologo di Quince:

If we offend, it is with our good will.

That you should thing, we come not to offend

            But with good will. To show our simple skill,

That is the true beginning of our end.

Consider then we come but in despite.

We do not come as minding to content you,

Our true intent is. All for your delight

We are not here. That you should here repent you

The actors are at hand; and by their show

You shall know all that you are like to know.   (V, i, 108-117)

           

a tal punto che si discostano ripetutamente dal copione originale, ogni qual volta notino segni di incomprensione che potrebbero causare disapprovazione da parte del pubblico. Probabilmente questo è un modo utilizzato da Shakespeare per parodiare indirettamente le usanze del tempo, quando i nobili condannavano uno spettacolo che sembrava loro offendere il pubblico aristocratico, con conseguenze anche gravi per gli attori, e un’opera risultava alla fine censurata o trasformata in qualcosa che si scostava dall’intento iniziale dell’autore, trasformando ad esempio un leone in un usignolo.

BOTTOM

I will roar that I will do any man’s heart good to hear me.

[…]

QUINCE

An you should do it too terribly you would fright

The Duchess and the ladies that they would shriek, and

that were enough to hang us all.

ALL THE REST

That would hang us, every mother’s son.

BOTTOM

I grant you, friends, if you should fright the ladies

Out of their wits they would have no more discretion but

To hang us, but I will aggravate my voice so, that I will

Roar you as gently as any sucking dove. I will roar you

An ‘twere any nightingale.   (I, ii, 63-75)

Secondo Leinwand, l’interludio di Piramo e Tisbe potrebbe essere associato alle forme di minaccia e sconvolgimento sociale che hanno fortemente marcato lo scontento artigiano degli anni 1590 [80]. Come fa notare Peter Holland nell’introduzione ad una delle edizioni di A Midsummer Night’s Dream, sottolineando le potenziali minacce nella commedia e la consapevolezza negli artigiani del pericolo che correvano nel presentare un leone ed una spada sguainata sul palco, si può capire come la loro ricerca di dignità fosse in tensione con il loro stesso desiderio di adattarsi alle richieste aristocratiche [81]. Ancora una volta gli artigiani sono impegnati a definire se stessi uomini, come Bottom suggerisce a Snug, travestito da leone, di dire sul palco:

I am a man, as other men are.   (III, i, 40)

 

O come Snug stesso, vedendo il duca arrivare, afferma:

If our sport had gone forward we had all been made men.   (IV, i, 17)

 

Gli artigiani hanno paura per la loro vita; e le loro ambizioni, non vanno oltre una pensione a vita di sei centesimi al giorno:

FLUTE: O sweet bully Bottom! Thus hath he lost sixpence a day during his life. He could not have scaped sixpence a day. An the Duke had not given him sixpence a day for playing Pyramus, I’ll be hanged. He would have deserved it. Sixpence a day in Pyramus, or nothing.                                                                                                                                                                            (IV, ii, 18-22)

 

            Secondo Holland, l’interludio di Piramo e Tisbe contiene e controlla il tipo di malcontento sociale che gli artigiani dimostravano. Ma, allo stesso tempo, da la possibilità agli artigiani di una metamorfosi, “a change in status of the kind that only the theatre can confer” [82].

3.2 – ‘LET ME PLAY’!

Le ripetute incomprensioni tra il pubblico, e principalmente il Duca, e gli attori artigiani, principalmente rappresentati da Bottom, mostrano dunque le reciproche incomprensioni tra le due parti;

BOTTOM (as Pyramus): O wicked wall, through whom I see no bliss,

Cursed be thy stones for thus deceiving me.

THESEUS: The wall methinks, being sensible, should curse again.

BOTTOM (to Theseus): No, in truth, sir, he should not.

‘Deceiving me’ is Thisbe’s cue. She is to enter now,

And I am to spy her through the wall. You shall see,

It will fall pat as I told you.   (V, i, 178-185)

Questo motivo di incomprensione, tra l’altro, sembrerebbe molto ricalcare quelle incomprensioni che spesso sorgono tra gli adulti e il gioco dei bambini. A questo proposito, Johan Huizinga, nella sua opera Homo Ludens, riporta un caso, raccontatogli da un padre: “Questi trova il figliolo di quattro anni intento a giocare ‘al trenino’, seduto sulla prima di una fila di sedie. Egli abbraccia il bimbo, ma quello gli dice: – Babbo, non devi baciare la locomotiva, se no i vagoni credono che non sia una cosa seria. [83]

Questo della serietà è un aspetto molto importante del gioco; Huizinga fa notare come il gioco si allontani dalla vita vera e ordinaria, entrando temporaneamente in uno spazio inventato, e con finalità proprie. Il bambino sa perfettamente di stare facendo soltanto finta, ma questo non esclude che il giocare, anche solo per finta, non venga fatto con la massima serietà [84]. Anzi, è proprio questo che avviene nel gioco, dove il mondo di fantasia, pur se inventato, viene preso con molta serietà dal bambino. E questo aspetto, più di altri, permette di collegare l’attività ludica del bambino all’arte, alla poesia e di conseguenza anche al teatro. Ma partiamo dall’arte e dal poeta: secondo Freud, ogni bambino, quando gioca, si comporta come un poeta, creandosi un proprio mondo irreale, più bello di quello reale. Ma ciò che distingue il gioco del bambino dal fantasticare è il fatto che il bambino distingue sempre il suo mondo dalla realtà, e ancora più importante, che collega elementi del suo mondo a elementi del mondo reale. Allo stesso modo si comporta il poeta, creandosi un mondo di fantasia che prende molto sul serio e separandolo dalla realtà [85]. Anche la lingua sembra aver mantenuto questo legame tra il gioco del bambino e il “gioco” del poeta, utilizzando in inglese lo stesso termine, ‘play’, per indicare sia il gioco che lo spettacolo teatrale.

Il pedagogo Mauro Laeng mostra come il gioco, oltre ad essere occasione di espressione spontanea e gioiosa, sia anche occasione di serio impegno nei confronti delle cose; per il bambino, infatti, il gioco sembra essere un modo di vivere tutti i possibili comportamenti [86].

QUINCE: You, Nick Bottom, are set down for Pyramus.

[…]

BOTTOM: I could play Ercles, or a part to tear a cat in, to make all split.

[…] A lover is more condoling.

[…]

BOTTOM:  An I may hide my face, let me play Thisbe too.

[…]

BOTTOM:  Let me play the lion too.   (I, ii, 18-63)

Ciò produce uno scarto tra realtà e finzione, ma non toglie alla finzione una sua coerenza. Quando il bambino fantastica, è fedele e costante in quello che fa. Per questo quando un bambino, sentendo narrare una fiaba per più di una volta, si ribella per le varianti che l’adulto inserisce nel racconto, replicando che “non era così”. “E questa coerenza, che è propria del mondo della finzione, è tale che viene difesa gelosamente dal bambino il quale, quando coinvolge l’adulto nei suoi giochi, e quindi si rende perfettamente conto anche per la presenza del testimone della natura precisamente fittizia di ciò che viene immaginando, esige però che l’adulto stia al gioco, rispettando alcune delle condizioni di questa logica esigentissima della finzione stessa”. [87] Proprio come Bottom e gli altri artigiani, il bambino, mentre gioca, ci crede pur non credendoci e non ci crede pur credendoci.

Anche il giocattolo, dice Laeng, come strumento di questa attività ludica, è non un singolo oggetto, ma un modo di usare potenzialmente tutti gli oggetti [88]. Così come il bambino può giocare in qualunque situazione, allo stesso modo ogni oggetto può essere trasformato dalla sua fantasia per diventare uno strumento del gioco. La fantasia del bambino infatti, così come quella del poeta, ha la capacità di mutare, di trasformare in giocattolo tutti gli oggetti, anche quelli più seri della vita adulta. Il bambino, proprio come l’attore teatrale, gioca, trasformandoli per i suoi fini, con lo spazio, col tempo, con forme e dimensioni, con somiglianze e contrasti, con luce e ombra, e con oggetti e spazi che la natura gli offre. Come dice Huizinga “il gioco si isola dalla vita ordinaria in luogo e durata. […] Si svolge entro certi limiti di tempo e di spazio. […] Il gioco comincia e a un certo momento è finito. […] Ogni gioco si muove entro il suo ambito, il quale, sia materialmente, sia nel pensiero, di proposito o spontaneamente, è delimitato in anticipo” [89]. Proprio come accade nel teatro:

QUINCE: Pat, pat; and here’ a marvellous convenient place for our rehersal. This green plot shall be our stage, this hawthorn brake our tiring-house.   (III, i, 2-4)

E sembrerebbe quasi, se ci si può permettere questo paragone, che il teatro possa benissimo essere considerato un “giocattolo ideale”, che, usando le parole di Laeng quando parla delle caratteristiche che dovrebbe avere il giocattolo ideale, “deve essere stimolo e sfida soprattutto all’immaginazione e all’azione […] semplice, semistrutturato, modularmente componibile, adattabile, che si presta alle infinite figurazioni di una fantasia che non ha confini” [90].

Altro aspetto interessante sul gioco, e sul suo parallelo con il teatro, è la misteriosità con la quale spesso esso si circonda. Come, formato un gruppo, “i bambini piccoli accrescono il fascino del loro gioco facendone un segreto” [91], così vogliono fare anche gli artigiani attori di A Midsummer Night’s Dream:

QUINCE: But masters, here are your parts, and I am to entreat you, request you, and desire you to con them by tomorrow night, and meet me in the palace wood a mile without the town by moonlight. There will we rehearse, for if we meet in the city we shall be dogged with company, and our devices known.

BOTTOM: We will meet there, and there we may rehearse most obscenely and courageously.   (I, ii, 88-96)

Continuando il suo discorso sulla natura e sul significato del gioco, Huizinga spiega che il gioco “adorna la vita e la completa, e come tale è indispensabile. E’ indispensabile all’individuo in quanto funzione biologica, ed è indispensabile alla collettività per il senso che contiene, per il significato, per il valore espressivo, per i legami spirituali e sociali che crea, insomma in quanto funzione culturale” [92]. Si è già visto come il teatro, rappresentato qui dall’interludio di Piramo e Tisbe, cerchi di svolgere, proprio come il gioco, questa funzione culturale di creare legami sociali tra diversi strati della popolazione, in questo caso, fallendo però in parte nel suo intento. E si è anche già accennato a come questo tipo di rappresentazione riprenda molto le rappresentazioni svolte in riti e cerimonie di iniziazione, occupando un posto nella sfera di festa e di culto, e a come il gioco, così come anche il rito, sia delimitato nello spazio. Inoltre, così come il gioco quasi annulla il mondo ordinario, almeno nella vita infantile, anche il rito, presso popoli primitivi ma anche in alcune società moderne e progredite, sembra annullare le regole presenti nella società attraverso questi giochi di culto; ad esempio nelle feste d’iniziazione con cui i giovani sono accolti nella comunità degli adulti, o nei saturnali e costumi carnevaleschi. Questo aspetto dell’essere diverso attraverso la trasformazione, e della misteriosità del gioco, sono espressi visibilmente nel travestimento, tecnica fondamentale utilizzata nel teatro. Il travestito, il mascherato, gioca ad essere un altro, si trasforma in qualcun altro. Dunque gioco, rito e teatro si uniscono insieme nel travestimento e nella metamorfosi.

Il travestimento, come le maschere, hanno sempre affascinato per il mistero che suscitano in chi le osserva; mentre lo scienziato ne mostra l’importanza sociale, il laico ne resta commosso a livello estetico, stupito dalla bellezza, dall’orrore e dal mistero della maschera. Per tutti, anche per l’adulto istruito, la maschera ha sempre qualcosa di misterioso. Il “mascherato” ci conduce subito fuori dalla vita ordinaria, ci porta nella sfera del primitivo, del bambino, del poeta, e cioè nella sfera del gioco.

L’austriaco Gregor, come fa notare il critico italiano Silvio d’Amico, ritiene l’uso della maschera essenziale e importantissimo: con la maschera l’uomo, camuffandosi, tenterebbe infatti di “diventare un altro”. Ciò accade soprattutto nei riti del culto, che pian piano assumono caratteristiche teatrali; si rappresenta, ad esempio, la vita di un dio animale; il teatro nasce quando nasce la rappresentazione scenica del dio, accettata come tale. “Il teatro sorgerebbe insomma quando l’indigeno può mettersi e togliersi la maschera davanti a spettatori che conoscono il suo ‘gioco’, e non temono più l’uomo con la maschera come fosse il dio stesso, ma ne riconoscono il carattere soltanto ‘simbolico’” [93].

Tutto ciò che è stato detto finora, si rispecchia incredibilmente nell’interludio di Piramo e Tisbe recitato dagli artigiani, sia nel bosco che in città. Sembrerebbe che Shakespeare, con questo piccolo spettacolo teatrale, inserito nella più vasta trama degli amanti e dei folletti di A Midsummer Night’s Dream, abbia dato una sua interpretazione di quello che, per lui, è il teatro, della sua vera essenza, la trasformazione, esplicata nella metamorfosi finale di Bottom; come Bottom, trasformato, riceve l’amore della regina delle fate, e riesce quindi a toccare il divino, così lo spettatore che assiste ad un opera teatrale, immerso in quel mondo fantastico di trasformazioni e giochi, ritornando in parte bambino, riesce ad entrare in contatto con la parte irrazionale di sé stesso, e ad essere cullato, anche se soltanto per poche ore, dalla regina delle fate.

3.3 – CATARSI COME TRASFORMAZIONE E IDENTITA’ DELL’ATTORE

Si è parlato in precedenza delle varie teorie del gioco, mostrando come, per la psicanalisi, si possa riscontrare nel gioco un aspetto importante della vita emotiva del partecipante, e cioè l’aspetto catartico. Il gioco infatti permetterebbe di scaricare ansie, tensioni, paure, insicurezze e atteggiamenti aggressivi generatisi nei confronti dell’ambiente circostante; per la psicanalisi, attraverso il gioco è possibile una distensione dell’Io ed un migliore adeguamento al proprio ambiente di riferimento, soprattutto grazie al ripetersi in forma ludica della situazione che crea problemi nella vita reale.

Si è anche visto il forte legame che intercorre tra gioco e teatro, e come entrambi facciano entrare il partecipante in un tempo dilatato, permettendogli di mettere da parte preoccupazioni ed ansie di tutti i giorni, favorendo un certo distacco da molte situazioni difficili, e rendendo così possibile un recupero di energie fisiche e morali. Abbandonando il proprio ruolo sociale, ritornando bambino per un certo periodo di tempo, l’adulto si relaziona con il suo inconscio, riscoprendo pulsioni interiori di cui la società e la cultura si sono impossessate.

Inoltre, sempre per la psicanalisi, nello studio del modo con cui l’opera teatrale agisce sullo spettatore, l’inconscio diviene, attraverso il palcoscenico e lo spettacolo, un oggetto aperto e sensibile, in quanto, durante la rappresentazione, la distinzione tra realtà e immaginazione sfuma.

Quindi anche il teatro, e più in generale l’arte e la poesia, così come il gioco, assumono quella funzione catartica che permette all’uomo, sia spettatore che attore, di trascendere i limiti imposti dalla società, e di riscoprire così sé stesso.

Sin dall’antichità questo concetto di catarsi (dal greco kátharsis, purificazione) attraverso l’arte era ben noto. Per Aristotele, ad esempio, l’arte costituisce una forma di conoscenza che ricrea le cose secondo una nuova dimensione. Nel periodo classico il teatro aveva per effetto proprio la catarsi: mirava cioè alla risoluzione delle vicende messe in scena, e portava l’animo dello spettatore prima a indagare nel proprio Io alla ricerca delle colpe, poi a liberarsi da questa condizione emotiva di disagio attraverso il fenomeno della catarsi. La Poetica di Aristotele individua la catarsi come il liberatorio distacco dalle passioni rappresentate nell’opera letteraria, distacco che interviene nel momento in cui si coglie la ragione celata negli eventi. Rappresentando (imitando) fatti gravi, luttuosi, l’opera suscita forti emozioni, ma alla fine libera dal tormento “purificando il simile col simile”:

tragedia dunque è mimesi di un’azione seria e compiuta in sé stessa, […] la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni [94].

Anche Platone la pensa allo stesso modo: egli utilizza questo termine, catarsi, per indicare un processo conoscitivo attraverso il quale ci si libererebbe dalle impurità per tornare ad uno stato di purezza originaria.

Contemplare dall’alto, vedere da una certa distanza o da un altro punto di vista le passioni che ci trascinano, può contribuire alla comprensione del loro significato. Robert Landy fa coincidere questo concetto di distanza estetica con quello di catarsi, intesa come conquista di equilibrio tra emozione e consapevolezza, tra coinvolgimento e distacco. Ad una “distanza estetica”, la persona può esperire l’ansia senza esserne sommersa; può “sentire intelligentemente” e “capire con sentimento”, elaborando la tensione attraverso un nuovo livello di comprensione. In questa prospettiva la catarsi è il raggiungimento di una posizione di distacco da cui si può arrivare a cogliere la natura profonda della realtà in cui bene e male, sofferenza e felicità possono convivere [95].

In A Midsummer Night’s Dream, un primo esempio di questa nozione di catarsi potrebbe ritrovarsi proprio nell’ interludio di Piramo e Tisbe, recitato davanti al Duca; e ciò dimostrerebbe l’affermazione precedente secondo la quale Shakespeare starebbe, attraverso questo spettacolo, mostrando la sua visione del teatro, dove sarebbe quindi trattato anche il tema della catarsi, che attraverso il rapporto con il pubblico, e il loro osservare con distacco gli avvenimenti sul palco, trasmetterebbe allo spettatore sentimenti profondi, coinvolgendolo interamente nella vicenda:

BOTTOM (as Pyramus)

O, dear!

Thy mantle good –

What, stained with blood?

Approach, ye furies fell.

O fates, come, come,

Cut thread and thrum,

Quail, crush, conclude, and quell.

THESEUS

This passion, and the death of a dear friend,

Would go near to make a man look sad.

HIPPOLYTA

Beshrew my heart, but I pity the man.   (V, i, 275-284)

L’elaborazione del concetto di catarsi che ci ha lasciato nei primi decenni del secolo scorso Lev Vygotskij, offre degli spunti interessanti: la sua attenzione va al processo di trasformazione che attraverso l’opera si mette in atto. Il processo artistico, insieme alla “metamorfosi del materiale dell’opera”, produce anche una “metamorfosi dei sentimenti”. Sentimenti, emozioni, passioni si trasfigurano innalzandosi dalla sfera strettamente individuale per divenire sociali e universalizzarsi.

Così, il senso e la funzione d’una poesia sulla tristezza non stanno affatto nel trasmettere a noi la tristezza dell’autore, nel contagiarci con essa, bensì nel trasformare questa tristezza in modo che agli uomini si riveli qualcosa di nuovo, in una più alta verità di vita. […] Il processo della catarsi si esprime attraverso “il contrasto di sentimenti” dove il contenuto affettivo di un’opera, si sviluppa in due direzioni contrarie, ma convergenti verso un unico punto finale nel quale si determina una trasfigurazione del sentimento, una sua chiarificazione e illuminazione [96].

Quindi, attraverso una visione complessiva dell’intero A Midsummer Night’s Dream, e non soltanto dello spettacolo di Piramo e Tisbe, quello che accade agli amanti così come a Bottom, sembrerebbe un mezzo affinché lo stesso possa accadere allo spettatore che guarda la commedia, affinché i suoi sentimenti diventino chiari a sé stesso, come a Demetrio tornano ad essere chiari nei confronti di Elena:

To her, my lord

Was I betrothed ere I see Hermia.

But like in sickness did I loathe this food;

But, as in health come to my natural taste,

Now I do wish it, love it, long for it,

An will for evermore be true to it.   (IV, i, 170-175)

Secondo Stanislavskij, lo spettacolo ha raggiunto il suo scopo, se “lo spettatore dimentica di aver pagato il biglietto, di essere seduto in una poltrona di velluto, di aver lasciato il lavoro solo momentaneamente, di vivere a teatro il suo tempo libero”. Per lui il teatro si offre come la sorpresa di osservare la realtà in uno specchio che non la deforma, ma la propone agli occhi dello spettatore che viene posto di fronte a sé stesso, alla sua realtà profonda [97].

La posizione di Dixon è che il teatro ci dispone a tendere verso l’infinito, a proiettare il nostro sentire oltre i limiti dell’Io, delle emozioni personali, mettendoci a contatto con il tremendo e il sublime [98], proprio come accade a Bottom:

I have had a most rare vision. I have had a dream past the wit

of man to say what dream it was. […] The eye of man

hath not heard, the ear of man hath not seen, man’s

hand is not able to taste, his tongue to conceive, nor his

heart to report what my dream was.   (IV, i, 201-210)

L’ammirazione di bellezza e il sentimento religioso, hanno molto in comune nell’essere entrambi la porta per l’esperienza del sublime, estrema condizione di libertà, sganciata da ogni esperienza sensibile e emotiva. Il sublime è infatti, per Kant, “ciò che, anche solo a poterlo pensare, attesta una facoltà dell’animo che supera ogni misura dei sensi” [99].

La filosofa e antropologa Suzanne Langer, ha descritto il processo psichico simile alla catarsi, che si esprime nell’ “esperienza estetica” come anche in una “performance rituale”. In particolare, descrive le emozioni suscitate nei diversi contesti, ponendo accento sul significato, sulla trasformazione, sulla distanza estetica, sulla libertà. Nell’esperienza estetica, il materiale fornito dai sensi viene, secondo la Langer, trasformato: l’emozione estetica nasce dal superamento di barriere, dal riuscire a penetrare in certe realtà che sono, letteralmente, “ineffabili”; il contenuto emotivo dell’opera diviene qualcosa di molto più profondo di ogni esperienza intellettuale, e il “piacere estetico”, diviene affine alla soddisfazione di scoprire la verità. Quindi scoprire la “verità artistica” non ha a che fare con i significati razionali, ma con la trasformazione che l’opera nei suoi modi propri induce [100].

Si è già notato, tra l’altro, come il gioco e il rito si uniscano fortemente al teatro; tutti creano per il soggetto uno spazio a cavallo tra la percezione cosciente della realtà ed il mondo dell’immaginazione, facilitando così il passaggio attraverso le fasi dell’evoluzione della propria identità. Winnicot, ad esempio, parlando del gioco, definisce “spazio transizionale” un luogo virtuale in cui viene mediato il rigido dualismo tra lo spazio interiore e lo spazio esteriore, tra l’individuo e l’ambiente; nel momento del gioco si possono percorrere sentieri di confine tra questi due mondi, creando un ponte tra immaginazione e realtà [101].

Questo discorso sulla mediazione del dualismo tra spazio interiore ed esteriore, nel gioco come anche nel teatro, permette uno spunto critico sul ruolo e sull’identità dell’attore – giocatore. Già Stanislavskji, nel sua concezione del teatro, mostrava come sia necessaria la consapevolezza che interiorità e comportamento sono saldamente legati, e non si può influire su uno senza influire necessariamente anche sull’altro [102]. Nel gioco e nel teatro, infatti, l’identità del “giocatore” assume un ruolo importante. Si è già detto di come l’attore, e anche il bambino, giochino ad essere qualcosa di più bello di quello che sono nella realtà:

QUINCE

This man is Pyramus, if you would know;

This beauteous lady Thisbe is, certain.

Si è anche detto di come l’attore, talmente preso dalla sua parte, sembri tante volte dimenticare o tralasciare la sua vera identità, “prendendo in prestito” quella del personaggio che interpreta:

BOTTOM

Tell them that I, Pyramus, am not Pyramus, but Bottom the weaver.   (III, i, 18-20)

Anche attraverso questi versi pronunciati da Bottom, Shakespeare mostrerebbe di sapere bene, e di spiegare attraverso questa farsa, l’effetto che il teatro produce sull’attore, e sulla sua identità.

Il tema dell’identità dell’attore è stato sviluppato da autori quali Diderot e Stanislavskij, che hanno due concezioni apparentemente contrapposte. Diderot sostiene che un grande attore è tale solo se non si identifica totalmente con il personaggio che sta interpretando. Secondo Diderot la recitazione è un’arte che richiede all’attore una certa distanza critica nei confronti di ciò che si sta esprimendo; l’attore non deve lasciarsi travolgere da emozioni reali che potrebbero interferire con le esigenze della rappresentazione. Egli dice:

Se debbo fare un racconto un po’ commovente, mi viene al cuore o alla testa non so quale turbamento: mi si lega la lingua, la voce mi si altera, incomincio a sconnettere, il discorso s’interrompe, balbetto me ne accorgo, le lacrime mi scorrono per le guance, finisco per tacere [103]

Quindi per esprimere l’emozione di un determinato personaggio, l’attore dovrebbe nascondere la propria; e l’unico modo in cui l’attore può modulare espressione e gestualità sembra essere soltanto evitando di identificarsi completamente con il personaggio.

Shakespeare sembra aver intuito già questo pensiero, e un esempio esplicito, pur se esterno ad A Midsummer Night’s Dream qui preso in esame, si trova in Hamlet, nella scena in cui Amleto, rivolgendosi ai comici che insceneranno una parte allo scopo di smascherare lo zio del protagonista, esprime il suo parere sul teatro:

HAMLET

Speak the speech, I pray you, as I pronounced it to

You, trippingly on the tongue: but if you mouth it,

As many of your players do, I had as lief the

Town-crier spoke my lines. Nor do not saw the air

Too much with your hand, thus, but use all gently;

for in the very torrent, tempest, and, as I may say,

the whirlwind of passion, you must acquire and beget

a temperance that may give it smoothness.

[…]

Be not too tame neither, but let your own discretion

be your tutor: suit the action to the word, the

word to the action; with this special o’erstep not

the modesty of nature.

[…]

And let those that play

, your clowns speak no more than is set down for them;

for there be of them that will themselves laugh, to

set on some quantity of barren spectators to laugh too. (Hamlet, Act II, scene ii, …)

La teoria apparentemente contrapposta a quella di Diderot è sostenuta dal regista russo Stanislavskij, e spesso il suo pensiero viene sintetizzato in una parola: immedesimazione. Questo termine sta ad indicare una tecnica teatrale, a sua volta composta da altre tecniche interne, una delle quali è la memoria emotiva. Scopo dell’immedesimazione è portare il personaggio al livello di persona. Stanislavskji parte dal concetto che noi siamo, consciamente o meno, quello che ricordiamo; per poter comprendere appieno un personaggio letterario, l’attore dovrebbe quindi costruirgli un passato, e per fare ciò ha bisogno di ricercare nel suo proprio passato alcune esperienze analoghe a quelle del personaggio che deve interpretare; in questo modo le due entità distaccate (attore reale e personaggio letterario) si uniscono, proprio grazie al fatto di avere un passato in comune; così l’interiorità dell’attore è preparata per potersi immedesimare nel personaggio, e permettere all’attore di comportarsi come se fosse davvero quel personaggio [104]. Così, quando Bottom, durante la suddivisione delle parti per lo spettacolo, viene alla fine convinto da Peter Quince a prendere la parte di Piramo:

You can play no part but Pyramus; for Pyramus is

A sweet-faced man; a proper man as one shall see in a

summer’s day; a most lovely gentlemanlike man.

Therefore you must needs play Pyramus.   (I, ii, 76-79)

Si immedesima tanto nella parte, che poche scene più avanti, nella foresta, è talmente preso dal suo ruolo da chiamare sé stesso Piramo, “I Pyramus” dirà.

Ma le due teorie, quella di Stanislavskji e quella di Diderot, pur se apparentemente contraddittorie, sembrano in realtà essere due facce di una stessa medaglia: per Diderot tutto nasce dalla capacità di modulare le proprie espressioni, di riuscire a conquistare un’identità forte che fornisca la possibilità di vivere intensamente le diverse esperienze, senza però esserne travolti e assumendo nei loro confronti una distanza critica; Stanislavskij si occupa invece della coerenza della “maschera”, tra esperienza emozionale e finzione scenica. A tal proposito Ruggieri ritiene che “dall’incontro delle istanze stanislavskijane e di quelle di Diderot nasca il grande teatro”. [105]

Sembra inoltre che entrambe le teorie si riscontrino e si incontrino in Shakespeare, e in particolare nell’interludio di Piramo e Tisbe finora analizzato. Prendendo in esame Bottom, per esempio, si può notare come egli, pur immedesimandosi nella parte assegnatali tanto da chiamare se stesso Piramo, non dimentica la sua vera identità, dicendo egli stesso “I, Pyramus,am not Pyramus, but Bottom the weaver”.

Un ultimo appunto potrebbe essere fatto sul ruolo svolto dal teatro e dall’attore nel formare identità sociali ed individuali. Il teatro ha infatti da sempre contribuito a formare l’immagine mentale che gli uomini hanno di sé, “creando” persone. La parola “persona”, tra l’altro, viene dal greco, significa “maschera” e deriva dal fatto che anticamente gli attori indossavano appunto una maschera per “in-personare” (entrare nella maschera, nel ruolo) i vari personaggi. Ciò la dice lunga sulle parentele tra teatro, identità e comportamenti sociali. Soprattutto in passato, il teatro ha contribuito infatti a creare il concetto che i popoli e i singoli individui avevano di sé stessi. Anche per Stanislavskij ciò che succede tra l’attore e il suo spettatore succede tra lo spettatore e il personaggio; ed è soltanto grazie alla verità dei sentimenti dell’attore che lo spettatore proverà sentimenti altrettanto veri. Ed è questo il compito che si propone il teatro: coinvolgere il pubblico in una esperienza di verità.

QUINCE [as Prologue]

The actors are at hand; and by their show

You shall know all that you are like to know.   (V, i, 116-117)

CONCLUSIONE – “THE BEST IN THIS KIND ARE BUT SHADOWS”

Verso la fine di A Midsummer Nigth’s Dream, mentre gli artigiani attori recitano lo spettacolo di Piramo e Tisbe davanti alle tre coppie di sposi, e prima che tutti vadano nelle loro stanze per dormire nei loro letti matrimoniali e sognare nel loro sonno, Teseo fa un discorso eloquente sulla natura del teatro; egli condanna in primo luogo poeti, amanti e folli, ritenendoli fatti tutti d’immaginazione:

The lunatic, the lover and the poet

Are of imagination all compact.   (V, i, 7-8)

Secondo lui questi tipi di persone hanno un’immaginazione così fervida che riescono a vedere cose che in realtà non esistono, a trasformare qualcosa in qualcos’altro soltanto perché lo desiderano e lo immaginano:

Such tricks hath strong imagination

That if it would but apprehend some joy

It comprehends some bringer of that joy;

Or in the night, imagining some fear,

How easy is a bush supposed a bear!   (V, i, 18-22)

Quindi, per Teseo, amanti, folli e poeti vivono in un mondo fatto solo di fantasia, che non è ancorato alla realtà. La teoria psicoanalitica sembra dargli ragione; Freud, però, parlando dell’argomento, sostiene che c’è un modo per spostare la fantasia nella vita reale, e questo modo è proprio l’arte. Tutti sono in grado di fantasticare, e gli insoddisfatti traggono dalle proprie fantasie soddisfazione e piacere, anche se il piacere che ne possono trarre è molto limitato perché

L’inesorabilità delle loro rimozioni li costringe ad accontentarsi di quei magri sogni ad occhi aperti che ancora riescono a diventare coscienti [106].

L’artista invece ha una forte capacità di sublimazione e riesce a ritornare dal mondo fantastico alla vita reale, “Doth glance from heaven to earth, from earth to heaven” (V, i, 13); egli riesce a rielaborare i propri sogni in modo che essi perdano ciò che avevano di troppo personale e diventino godibili per tutti; riesce inoltre a non allontanarsi troppo dai suoi sogni, modellando un certo materiale fino a che non diventi una fedele riproduzione delle sue fantasie. Inoltre riesce a trarre dalla sua opera un tale senso di piacere che “le sue rimozioni vengono almeno temporaneamente sopraffatte e abolite” [107]. In questo modo l’artista fa si che tutti possano trarre ancora godimento e conforto, ma questa volta nella vita reale, dai loro sogni.

Ogni giorno il teatro si propone l’impresa di tradurre in realtà il sogno; cerca di prendere le parole del poeta e di trasportarle materialmente davanti agli occhi del pubblico, trasformando la parola in azione.

Svegliandosi dal suo sogno, ad esempio, Bottom vorrebbe che la sua storia fosse raccontata in una ballata, scritta da Peter Quince. Catherine Belsey si chiede quante possibilità avrebbe Quince di scrivere la verità, , quante possibilità ci sono perché Bottom dia all’amico Quince abbastanza e accurato materiale su cui lavorare, tale da permettergli di riscrivere esattamente un sogno [108]. Per rispondere alla domanda viene in aiuto Freud, che, nel suo discorso sulla rappresentazione e interpretazione dei sogni sostiene che non possiamo avere garanzie di sapere che essi siano realmente avvenuti, che non possiamo sapere se il paziente, colui che ha avuto il sogno, ci dica la verità e ricordi esattamente il suo sogno. Questo perché, nel tentativo di riprodurre i nostri sogni, noi li distorciamo inevitabilmente, in quanto cerchiamo di spostare l’inconscio verso il conscio, e perché essi riguardano in particolare l’idea che noi abbiamo di noi stessi [109].

BOTTOM: Methought I was – there is no man can tell what. Methought I was, and methought I had – but man is but a patched fool if he will offer to say what methought I had.                                                                                                                                     (IV, i, 204-207)

La Belsey ritiene che il sogno sia un testo, la sua rappresentazione un altro: “a transformation which produces, not a recovery which reproduces[110].

Ma, correttamente o meno, più o meno fedelmente che sia, l’unico modo per riscrivere questo sogno sembrerebbe comunque essere attraverso la poesia, attraverso il teatro e una “ballad”, la prima e l’unica soluzione che viene in mente a Bottom per poter rappresentare ciò che ha visto: “I will get Peter Quince to write a ballad of this dream. It shall be called ‘Bottom’s Dream’, because it hath no bottom” (IV, i, 210-212).

Secondo Silvio d’Amico il teatro è “uno spettacolo: ma spettacolo vivente. Non gl’immobili fantocci del Presepio;  e nemmeno ombre in movimento”. [111] Teseo sembra pensarla diversamente; per lui infatti:

 

The best in this kind are but shadows, and the

Worst are no worse if imagination amend them.   (V, i, 210-211)

 

Similmente, per Pirandello, l’ interpretazione scenica non è altro che un’illusione [112]. Ma illusione, o gioco che sia, è ciò di cui il teatro si nutre e vive da oltre due millenni.

Teseo, nel suo discorso sull’immaginazione e il teatro esclude l’irrazionale, l’arbitrario e il paradossale:

I never may believe

These antique fables, nor these fairy toys.

Lovers and madmen have such seething brains,

Such shaping fantasies, that apprehend

More than cool reason ever comprehends.

 

More than cool reason ever comprehends”. Kott mostra come questa frase rispecchi i versi di San Paolo: “L’uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio; sono follia per lui, e non è capace di intenderle”, e “Dio ha scelto ciò che è stoltezza del mondo per confondere i sapienti” [113]. E, come nei riti carnevaleschi già citati, così come in San Paolo, queste storie folli degli amanti sembrano essere dunque, per Kott, una difesa della follia [114]. E allo stesso modo di Bottom, che non trova parole per esprimere ciò che ha visto e udito, anche Erasmus, nella sua Praise of Folly, ha proposto lo stesso motivo:

In sort, that whan a little after thei come againe to their former wittes, thei denie plainly thei wote where thei became, or whether thei were than in theyr bodies, or out of theyr bodies, wakyng or slepyng: remembering also as little, either what they heard, saw, saied, or did than, sauyng as it were through a cloude, or by a dreame: but this they know certainely, that whiles their minds so roued and wandred, thei were most happie and blisfull, so that they lament and wepe at theyr retourne vnto theyr former senses.   (128.16 ff.)

La trasformazione subita da Bottom, sembrerebbe quindi, ad una analisi più approfondita, mostrare la saggezza che risiede nella follia, perché un asino potrebbe benissimo rappresentare “ciò che è ignobile nel mondo, e ciò che è disprezzato e ciò che è nulla” che Dio ha scelto “per annientare le cose che sono, affinché nessuno possa gloriarsi davanti a Dio” [115].

Teseo vede dunque l’intera notte di mezza estate come frutto della vana e futile immaginazione. Si può notare l’ironia nella razionalità scettica di Teseo, egli stesso rappresentazione di una grande figura mitologica, il famoso re di Atene della mitologia classica che sconfisse il minotauro. Le affermazioni di Teseo sono le più facili da accettare, perché conformi ai desideri e alla tendenza della mente umana a non essere “disturbata”.  Girard ritiene che è facile notare come questo discorso sia fatto da un personaggio distinto, che ben si presta a discorsi accademici sulle facoltà immaginative [116]. Un discorso così altezzoso e riuscito, che risulta difficile conciliare con le successive parole di Ippolita, meno eloquenti ma di un’importanza fondamentale, e scritte anch’esse dallo stesso Shakespeare:

But the story of the night told over,

And all their minds transfigured so together,

More witnesseth than fancy’s images,

And grows to something of great constancy,

But howsoever strange and admirable.   (V, i, 23-27)

 

La trama di A Midsummer Night’s Dream, già divisa in due, sembra qui riunire le diverse parti attraverso le voci di Teseo ed Ippolita. Teseo dà voce a tutti coloro che non vedono altro, in queste storie, che un aereo nulla; e sembra avere la meglio. Ma in realtà le ultime parole appartengono ad Ippolita, e Shakespeare fa la sua correzione alle parole di Teseo in maniera tanto discreta quanto illuminante. Shakespeare sembra dare credito a entrambe le visioni, quella che crede nei miti e nelle leggende, e quella che non vi crede, identificandole nella persona di Teseo.

Ma nonostante lo scetticismo di Teseo, la commedia mostra come l’immaginazione sia importante, e sveli un’altra realtà, nascosta agli occhi dei molti, ma comunque presente. Fa notare Frye come Teseo, pur avendo il sopravvento sull’opposizione di Egeo a far sposare la figlia con Lisandro,  e pur essendo governante incontrastato di tutta Atene, sembri egli stesso essere comandato e contraddetto, da fate e folletti di cui egli non sa niente e nella cui esistenza non crede [117].

Alla fine della commedia, durante la notte, è l’arbitrario e l’irrazionale a prendere il sopravvento e ad invadere la città:

OBERON: Now until the break of day

Through this house each fairy stray

[…]

With this field-dew consecrate

Every fairy take his gait

Through this palace with sweet peace;

And the owner of it blessed

Ever shall in safety rest.

Trip away, make no stay,

Meet me all by break of day.   (V, i, 393-413)

Paradossalmente, come nota la Belsey, l’istituzione monarchica dipende dall’irrazionalità del desiderio, dalla fantasia dell’immaginazione [118], e a benedire e portare la pace e la serenità coniugale alle nuove coppie di sposi saranno proprio i folletti, che una mente razionale come quella del monarca non riesce a concepire.

Una nota finale potrebbe essere fatta sull’importanza dell’ immaginazione, per mostrare come anche Teseo non sia poi tanto contrario ad essa, come sembrerebbe apparire da una lettura del suo discorso sull’immaginazione. Quello che molti critici hanno detto di Teseo, accusandolo di scetticismo e di essere contrario all’immaginazione, da un nuovo punto di vista non sembra essere del tutto vero. Si è spesso parlato del suo elogio alla razionalità, del fatto che per lui la poesia sia qualcosa di inutile e superficiale; alcuni hanno ritenuto il personaggio di Teseo essere la parte più scettica della mente di Shakespeare [119]. Kott, come ho già detto, ha visto in questo discorso un occulto elogio alla follia, ma per farlo è dovuto uscire fuori dal testo di A Midsummer Night’s Dream, e cercare in altri testi conferme alla sua teoria [120].

Sicuramente, nel suo discorso sull’immaginazione e sulla fantasia, Teseo condanna ciò che amanti e folli, così come anche i poeti, riescono ad inventarsi, distorcendo la realtà secondo i propri fini. Ma questi suoi stessi versi, che sono tali da non poter lasciare indifferenti, sembrano invece, visti da una prospettiva diversa, elogiare la poesia, più che condannarla:

 

The poet’s eye, in a fine frenzy rolling,

Doth glance from heaven to earth, from earth to heaven.

And as imagination bodies forth

The forms of things unknown, the poet’s pen

Turns them to shapes, and gives to airy nothing

A local habitation and a name.   (V, i, 12-17)

L’occhio del poeta raggiunge il cielo, per ritornare tranquillamente in terra un attimo dopo. Chi non vorrebbe, anche se scettico come Teseo, poter arrivare fino al cielo e ritornare indietro? Come potrebbero essere quindi questi versi contro la poesia? La mia opinione è che, rivestendo questo discorso di scetticismo, e condannando la fantasia, Shakespeare stia dando ancora più valore a questi versi, una forza emotiva che riesce a scuotere gli animi dall’interno, e mostra in questo modo la forza della poesia, capace di trasformare, attraverso le sue infinite metamorfosi, la realtà a suo piacimento, e che riesce a dare al nulla un nome e un luogo in cui abitare.

BIBLIOGRAFIA

Marjorie B. Garber, “Spirit of Another Sort: A Midsummer Night’s Dream”, in Dream in Shakespeare: From Metaphor to Metamorphosis, Yale University Press, 1974

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[1] David P. Young, “Bottom’s Dream” in Something of Great Constancy: The Art of “A Midsummer Night’s Dream”, Yale University Press, 1966, pp. 111-166

[2] Paulo Coelho, L’Alchimista, traduzione di Rita Desti, novantaduesima ed., Milano, Bompiani Editore, 2007, pp. 142-143.

[3]Oxford English Dictionary, Oxford 1989

[4] Sigmund Freud, Il poeta ed i sogni ad occhi aperti (1907), in Psicoanalisi del genio, traduzione di A. Ravazzolo, Roma, Newton Compton editori, 1970.

[5] Come dice Garber, parole quali “simbolo”, “immagine” e “significato” sono termini comuni sia alla psicanalisi che alla critica letteraria, ed entrambe cercano il significato inconscio e associato al significato che è stato trasformato ( o tradotto) nell’opera finale, sogno o poema. (Marjorie B. Garber, “Spirit of Another Sort: A Midsummer Night’s Dream”, in Dream in Shakespeare: From Metaphor to Metamorphosis, Yale University Press, 1974, pp. 59-87).

[6] J.B.Priestley, “Bully Bottom” in his The Englis Comic Characters, 1925. Reprint by Dodd, Mead and Company, 1931, pp. 2-6.

[7] Marjorie B. Garber, “Spirit of Another Sort: A Midsummer Night’s Dream”, in Dream in Shakespeare: From Metaphor to Metamorphosis, cit., pp. 59-87.

[8] René Girard, “Bottom’s One-Man Show”, in The Current in Criticism: Essays on the Present and Future of Literary Theory, edit by Clayton Koelb and Virgil Lokke, Purdue University Press, 1986, pp. 99-122

[9] Marjorie B. Garber, “Spirit of Another Sort: A Midsummer Night’s Dream”, in Dream in Shakespeare: From Metaphor to Metamorphosis, Yale University Press, 1974, pp. 59-87.

[10] William Shakespeare, A Midsummer Night’s Dream, edited by Peter Holland, Oxford University Press, 1994. Tutte le citazioni del testo sono prese da questa edizione.

[11] Jean-Jacques Rousseau, Emilio, traduzione di A. Visalberghi, decima ed., Bari, Editori Laterza, 1974, p. 175.

[12] Critici, quali Faber e Holland, ad ese,pio, analizzano l’opera come se fosse strutturata interamente seguendo gli schemi di un sogno, e studiano il sogno di Ermia nel bosco per trovare una spiegazione psicanalitica dell’intera commedia (M. D. Faber, “Hermia’s Dream: Royal Road to A Midsummer Night’s Dream”, in Literature and Psychology, Vol. XXII, No. 4, London, 1972, pp. 179-190; e Norman Holland, “Hermia’s Dream”, in Representing Shakespeare: New Psychoanalytic Essays, ed. Murray M, Schwartz and Coppélia Kahn, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 1980, pp. 1-14).

[13] Sigmund Freud, Introduzione alla Psicanalisi, traduzione di Marilisa Tonin Dogana ed Ermanno Sagittario, Torino, Universale scientifica Boringhieri, 1978, p. 467.

[14] Sigmund Freud, Introduzione alla Psicanalisi, traduzione di Marilisa Tonin Dogana ed Ermanno Sagittario, Torino, Universale scientifica Boringhieri, 1978, pp. 479-480.

[15] Sigmund Freud, Introduzione alla Psicanalisi, traduzione di Marilisa Tonin Dogana ed Ermanno Sagittario, Torino, Universale scientifica Boringhieri, 1978, pp. 289-306.

[16] Horkheimer Max, Eclisse della Ragione, Critica della Ragione Strumentale, traduzione di Spagnol Vaccari E., Einaudi Editore, 2000.

[17] René Girard, “Myth and Ritual in Shakespeare: A Midsummer Night’s Dream,” in Textual Strategies: Perspectives in Post-Structuralist Criticism, edited by Josué V. Harari, Cornell University Press, 1979, pp. 189-212; e René Girard, “Bottom’s One-Man Show,” in The Current in Criticism: Essays on the Present and Future of Literary Theory, edited by Clayton Koelb and Virgil Lokke, Purdue University Press, 1986, pp. 96-122).

[18] René Girard, “Myth and Ritual in Shakespeare: A Midsummer Night’s Dream,” in Textual Strategies: Perspectives in Post-Structuralist Criticism, edited by Josué V. Harari, Cornell University Press, 1979, pp. 189-212.

[19] Due versi potrebbero qui risaltare, per un significato più profondo che mostrerebbero in relazione all’intera commedia: il primo è “When wheat is green, when hawthorn buds appear”, che potrebbe ricollegare alle metamorfosi, e al “I’ll give to be to you translated”. Il secondo è “My ear should catch your voice, my eye your eye” che potrebbe ricollegarsi al discorso di Bottom dopo la sua trasformazione.

 

[20] René Girard, “Bottom’s One-Man Show,” in The Current in Criticism: Essays on the Present and Future of Literary Theory, edited by Clayton Koelb and Virgil Lokke, Purdue University Press, 1986, pp. 96-122.

[21] Vicky Shahly Hartman, “A Midsummer Night’s Dream: A Gentle Concord to the Oedipal Problem”, in American Imago, Vol. 40, 1983, pp. 355-369; e Jan Kott, “Titania and the Ass’s Head”, in Shakespeare, our contemporary, London, W. W. Norton & Company, 1974, pp. 213-236

[22] Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi, traduzione di Marilisa Tonin Dogana ed Ermanno Sagittario, Torino, Universale scientifica Boringhieri, 1978, p. 323.

[23] René Girard, “Myth and Ritual in Shakespeare: A Midsummer Night’s Dream,” in Textual Strategies: Perspectives in Post-Structuralist Criticism, edited by Josué V. Harari, Cornell University Press, 1979, pp. 189-212.

[24] René Girard, “Myth and Ritual in Shakespeare: A Midsummer Night’s Dream,” in Textual Strategies: Perspectives in Post-Structuralist Criticism, edited by Josué V. Harari, Cornell University Press, 1979, p. 198.

[25] René Girard, “Bottom’s One-Man Show,” in The Current in Criticism: Essays on the Present and Future of Literary Theory, edited by Clayton Koelb and Virgil Lokke, Purdue University Press, 1986, pp. 96-122.

[26] Agostino Portera, “A che serve la Pedagogia Interculturale?”, in La Ricerca Educativa e Formativa in Italia Oggi, a cura di Binanti Luigino e Demetrio Ria, Anicia Editore, 2010, pp. 143-155.

[27] René Girard, “Bottom’s One-Man Show,” in The Current in Criticism: Essays on the Present and Future of Literary Theory, edited by Clayton Koelb and Virgil Lokke, Purdue University Press, 1986, pp. 96-122.

[28] René Girard, “Bottom’s One-Man Show,” in The Current in Criticism: Essays on the Present and Future of Literary Theory, edited by Clayton Koelb and Virgil Lokke, Purdue University Press, 1986, pp. 96-122.

[29] René Girard, “Myth and Ritual in Shakespeare: A Midsummer Night’s Dream,” in Textual Strategies: Perspectives in Post-Structuralist Criticism, edited by Josué V. Harari, Cornell University Press, 1979, p. 198.

[30] Vedere René Girard, Violence and the Sacred, Baltimore, John Hopkins University Press, 1978.

[31]Apuleius, “The golden ass : being The metamorphoses / of Lucius Apuleius ; with an english translation by W. Adlington ; revised by S. Gaselee”, London : Heinemann ; Cambridge, Mass. : Harvard University Press, 1971. Tutte le citazioni del testo sono prese da questa edizione.

[32] David Lucking, “Translation and Metamorphosis in A Midsummer Night’s Dream, 2009, in Essays and Criticism 61/2, 137-SY.

[33] Parlando del fatto che spesso i traduttori italiani di Hamlet traducano l’espressione “A rat!” con “Un topo!”, anche se i termini si riferiscono a due tipi distinti di roditori, Eco dice: “If in Hamlet I need a rodent that generally makes people scream, a topo or a mouse is enough even though I lose other properties (size, for instance, or risk of plauge)”.  E ancora “I shall deal with the problem of adapting a translation to the receiving culture. There are cases in which, talented as they are, translators are obliged to work at a loss”. Infine, proprio come ha cercato di fare Golding nella sua traduzione delle Metamorfosi di Ovidio, Eco ribadisce che: “the aim of translation, more than producing any litteral ‘equivalence’, is to create the same effect in the mind of the reader (obviously according to the translator’s interpretation) as the original text wanted to create”. (Umberto Eco, Mouse or rat? Translation as negotiation, London, Phoenix Paperback, 2004).

[34]Apuleio, Gli XI Libri delle Metamorfosi, traduzione di Ferdinando Carlesi, Firenze, Sansoni Editore, 1983. Tutte le citazioni del testo sono prese da questa edizione.

[35] James A. S. McPeek, “The Psyche Myth and A Midsummer Night’s Dream”, Shakespeare Quarterly 23, no.1 (winter 1972), pp. 69-79

[36] In relazione al rapporto tra Cupido e Puck, si può notare come Cupido sia descritto, nel mito di Psiche, come “rashe inough, and hardie, who by evil manners, contemninge all publique iustice and lawe, armed with fire and arrowes, runninge up and downe in the nightes from house to house, and corruptinge the lawfull marriages of every person, doth nothinge but that whiche is evill” (IV.30;44). Similmente Puck in A Midsummer Night’s Dream è descritto come “That shrewd and knavish sprite called Robin Goodfellow… that frights the maidens of the villagery, skim milk, and sometimes labour in the quern, and bootless make the breathless housewife churn, and sometime make the drink to bear no barm, mislead night-wanderers, laughing at their harm”(II, i, 33-39).

[37] Ciò potrebbe anche far pensare che Shakespeare, pur avendo quasi sicuramente letto, come afferma la maggior parte dei critici, la traduzione inglese di Adlington delle Metamorfosi di Apuleio, abbia con molta probabilità anche il testo originale in latino, del quale Shakespeare, attento osservatore, ha saputo cogliere anche i più minuscoli dettagli.

[38] James A. S. McPeek, “The Psyche Myth and A Midsummer Night’s Dream”, Shakespeare Quarterly 23, no.1 (winter 1972), pp. 69-79

[39] Tra l’altro, come fanno notare diversi critici tra cui McPeek, Titania è uno dei nomi che Ovidio usa nelle Metamorfosi per chiamare Venere, motivo che lascia intendere, oltre allo stretto legame tra Titania e Venere, che la fonte delle Metamorfosi di Ovidio cui Shakespeare ha attinto per la sua opera non sia soltanto la traduzione di Golding (che non mostra mai il nome di Titania), ma anche l’originale in latino.

[40] Altro collegamento con L’asino d’Oro potrebbe essere rappresentato dal fatto che Bottom, di fronte a Titania appena destatasi dal sonno, canti una canzone sugli uccelli: “The finch, the sparrow, and the lark, / The plainsong cuckoo grey, / Whose note full many a man doth mark, / And dares not answer ‘Nay’ – / for indeed, who would set his wit to so foolish a bird? / Who would give a bird the lie, though he cry ‘Cuckoo’ never so?” (III,i, 123-129); e da Lucio che, prima della sua trasformazione in asino, si aspettava di essere trasformato in uccello.

[41] Sister M. Generosa, “Apuleius and A Midsummer Night’s Dream: Analogue or Source, Which?” SP, XLII (1945), pp. 198-204

[42] James A. S. McPeek, “The Psyche Myth and A Midsummer Night’s Dream”, Shakespeare Quarterly 23, no.1 (winter 1972), pp. 69-79

[43] Verso che come altri, e come il famoso monologo di Bottom, riconduce probabilmente anch’esso ai versi di San Paolo.

[44]Vladimir Jakovlevic Propp, Le radici storiche dei racconti di fate, traduzione di C. Coisson, Torino, P. Boringhieri, 1985.

[45] Secondo Joseph Campbell “Le immagini mitologiche mettono in contatto la propria coscienza con l’inconscio. […] Quando una persona non ha immagini mitologiche, o quando la coscienza le rifiuta, quale che sia la ragione, rinuncia ad essere in contatto con la parte più profonda di sé. In questo, ritengo, sta lo scopo del Mito nel quale ognuno vive”. (Joseph Campbell, L’eroe dai Mille Volti, traduzione Piazza F., Guanda Editore, Biblioteca della Fenice, 2008).

[46]Erich Neumann, Amore e Psiche: un’interpretazione nella psicologia del profondo, Roma, Astrolabio, 1989.

Apuleio,Le Metamorfosi : o L’asino d’oro”; introduzione di Reinhold Merkelbach; premessa al testo di Salvatore Rizzo ; traduzione di Claudio Annaratone, Milano: Rizzoli, 13 ed., 1996.

[48] Jan Kott, “The Bottom Translation”, in The Bottom Translation: Marlowe and Shakespeare and the Carnival Tradition, translated by Daniela Miedzyrzecka and Lillian Vallee, pp. 29-68. Evanston, III: Northwestern University Press, 1987.

[49] Altri echi dei versi di San Paolo, a mio avviso, possono essere trovati anche nel monologo di Elena (“My ear should catch your voice, my eye your eye, / My tongue should catch your tongue’s sweet melody”) e nella messinscena di Piramo e Tisbe a corte, che riprende il lapsus di Bottom nel suo famoso monologo (“I see a voice. Now will I to the chink / To spy and I can hear my Thisbe’s face”).

[50] Jan Kott, “The Bottom Translation”, in The Bottom Translation: Marlowe and Shakespeare and the Carnival Tradition, translated by Daniela Miedzyrzecka and Lillian Vallee, pp. 29-68. Evanston, III: Northwestern University Press, 1987.

[51] Beroaldus, in un suo commentario ad una delle edizioni dell’Asino d’Oro del 1600, vede nella metamorfosi di Apuleio una iniziazione mistica ai segreti dell’amore divino, spirituale.

[52] Interpretato ora come mito filosofico di matrice platonica, ora come mito cristiano, il romanzo è carico di rimandi simbolici all’itinerario spirituale del protagonista—autore: la vicenda di Lucio ha infatti un valore allegorico, rappresentando la caduta e la redenzione dell’uomo.

[53] Marjorie B. Garber, “Spirit of Another Sort: A Midsummer Night’s Dream”, in Dream in Shakespeare: From Metaphor to Metamorphosis, Yale University Press, 1974, pp. 59-87.

[54]Vladimir Jakovlevic Propp, Le radici storiche dei racconti di fate, traduzione di C. Coisson, Torino, P. Boringhieri, 1985.

[55] David Lucking, “Translation and Metamorphosis in A Midsummer Night’s Dream, 2009, in Essays and Criticism 61/2, 137-SY; e Jan Kott, “The Bottom Translation”, in The Bottom Translation: Marlowe and Shakespeare and the Carnival Tradition, translated by Daniela Miedzyrzecka and Lillian Vallee, pp. 29-68. Evanston, III: Northwestern University Press, 1987

[56] Leonard Barkan, The Gods Made Flesh, New Haven, 1986, p. 257.

[57] Italo Calvino, Lezioni Americane, ottava ed., Garzanti Editore, 1990, pp, 28-29.

[58] Jan Kott, “The Bottom Translation”, in The Bottom Translation: Marlowe and Shakespeare and the Carnival Tradition, translated by Daniela Miedzyrzecka e Lillian Vallee, Evanston, ill., Northwestern University Press, 1987, pp. 29-68.

[59] Goethe mostra splendidamente il simbolismo della scopa nella notte di San Giovanni: Let the children enjoy / The fires of the night of Saint John / Every broom must be worn out, /And children must be born, mostrando così i simboli della vita, che sempre ha bisogno di una continua metamorfosi, di essere consumata prima di potersi rinnovare, di toccare il fondo prima di risalire in superficie.

[60] Anca Vlasopolos, “The Ritual of Midsummer: A Pattern for A Midsummer Night’s Dream”, in Renaissance Quarterly, Vol. 31, No. 1, 1978, pp. 21-29.

[61] Mi è sembrato significativo, e molto vicino al discorso sulla traduzione della parola “Midsummer”, un discorso di Eco sullo stesso argomento; dice Eco: “In my translation of Sylvie, an instance in which I felt obliged to make a modification in terms of reference was that of the visit to Chaalis in chapter 7. Nerval says that it takes place le soir de la Saint-Barthélemy and a little further on he speaks of le jour de la Saint-Barthélemy. […] Now, for every French reader it is enough to mention la Saint-Barthélemy to evoke the night of one of the most cruel massacres of European history, but in Italian the same connotation is provided by the expression ‘La notte di San Bartolomeo’, the night of St Bartholomew –not the evening or the day, but the night. Since the whole scene undoubtedly takes place in the dark, I disregarded both soir and jour and translated as notte, night, in both cases, without betraying the intentions of the text and at the same time giving my readers the right suggestion.” (Umberto Eco, Mouse or rat? Translation as negotiation, London, Phoenix Paperback, 2004).

[62] Northrop Frye, “A Midsummer Night’s Dream,” in his Northrop Frye on Shakespeare, edited by Robert Sandier, Yale University Press, 1986, pp. 34-50.

[63] Anca Vlasopolos, “The Ritual of Midsummer: A Pattern for A Midsummer Night’s Dream”, in Renaissance Quarterly, Vol. 31, No. 1, 1978, pp. 21-29.

[64] Anca Vlasopolos, “The Ritual of Midsummer: A Pattern for A Midsummer Night’s Dream”, in Renaissance Quarterly, Vol. 31, No. 1, 1978, pp. 21-29.

[65] Mauro Laeng, Nuovi Lineamenti di Pedagogia, Brescia, Editrice La Scuola, 1987, pp. 107-123.

[66] Mauro Laeng, Nuovi Lineamenti di Pedagogia, Brescia, Editrice La Scuola, 1987, pp. 107-123.

[67] Roger Caillois, I Giochi e gli Uomini: la Maschera e la Vertigine, terza edizione, traduzione di Laura Guarino, Milano, Tascabili Bompiani, 2004.

[68] D. Diderot, Il paradosso sull’attore, traduzione di A. Moneta, Milano, Rizzoli Editore, 1960.

[69] Potrebbe venire da pensare come Bottom sembrerebbe comportarsi proprio come un bambino, egocentrico, che col tempo impara a vedere il mondo da altri punti di vista (in questo caso mostrando interesse nel non voler spaventare le dame di corte). Probabilmente proprio per questo è stato lui, grazie alla sua innocenza fanciullesca, ad essere scelto per una rivelazione del celeste, dell’incontaminato e del puro, una visione rara.

[70]

[71] Luigi Pirandello, Enrico IV, Torino, Einaudi, 1993.

[72] Roger Caillois, I Giochi e gli Uomini: la Maschera e la Vertigine, terza edizione, traduzione di Laura Guarino, Milano, Tascabili Bompiani, 2004.

[73] Sigmund Freud, “Il poeta ed i sogni ad occhi aperti (1907)”, in Psicoanalisi del genio, Roma, Newton Compton Editori, 1970, p.129.

[74] Silvio d’Amico, Storia del Teatro Drammatico, Milano, Aldo Garzanti Editore, 1960, pp. 7-14.

[75] Platone, Leggi, libro VII, 796-803.

[76] Johan Huizinga, Homo Ludens, Milano, Einaudi Editore, 1985, pp. 3-34.

[77] Victor Turner, From Ritual to Theatre, New York, Performing Arts Group Publications, 1982, p. 44.

[78] Frank Nicholas Clary, “Imagine No Worse of Them: Hippolyta on the Ritual Threshold in Shakespeare’s A Midsummer Night’s Dream”, in Ceremony and Text in the Renaissance, edited by Douglas F. Rutledge, pp. 155-66, Newark, University of Delaware Press, 1966.

[79] McKim Marriott spiega la funzione dell’ “Holi Festival” (Festival of Love) di alcune comunità di villaggi indiani: “Each actor playfully takes the role of others in relation to his own usual self. Each may thereby learn to play his own routine roles afresh, surely with renewed understanding, possibly with greater grace, perhaps with reciprocating love” (Victor Turner, The Ritual Process, Chicago, Aldine, 1969, pp.

187-188).

Allo stesso modo C.L. Barber vede i festival tradizionali inglesi, descrivendoli come “occasions for communicating across class lines and realizing the common humanity at every level”. (C. L. Barber, Shakespeare’s Festive Comedy, Princeton, Princeton University Press, 1959, p. 111).

[80] Theodore B. Leinwand, “’I believe we must leave the killing out’: Deference and accommodation in A Midsummer Night’s Dream”, Renaissance Papers, Durham, Southeastern Renaissance Conference, 1986, pp. 11-30.

[81] Peter Holland, A Midsummer Night’s Dream, Introduction, Oxford, Oxford University Press, 1994, pp. 84-95.

[82] Peter Holland, A Midsummer Night’s Dream, Introduction, Oxford, Oxford University Press, 1994, pp. 84-95.

[83] Johan Huizinga, Homo Ludens, Milano, Einaudi Editore, 1985, pp. 3-34.

[84] Johan Huizinga, Homo Ludens, Milano, Einaudi Editore, 1985, pp. 3-34.

[85] Sigmund Freud, “Il poeta ed i sogni ad occhi aperti (1907)”, in Psicoanalisi del genio, Roma, Newton Compton editori, 1970, p. 129.

[86] Mauro Laeng, Nuovi Lineamenti di Pedagogia, Brescia, Editrice La Scuola, 1987, pp. 107-123.

[87] Mauro Laeng, Nuovi Lineamenti di Pedagogia, Brescia, Editrice La Scuola, 1987, pp. 107-123.

[88] Mauro Laeng, Nuovi Lineamenti di Pedagogia, Brescia, Editrice La Scuola, 1987, pp. 107-123.

[89] Johan Huizinga, Homo Ludens, Milano, Einaudi Editore, 1985, pp. 3-34.

[90] Mauro Laeng, Nuovi Lineamenti di Pedagogia, Brescia, Editrice La Scuola, 1987, pp. 107-123.

[91] Johan Huizinga, Homo Ludens, Milano, Einaudi Editore, 1985, pp. 3-34.

[92] Johan Huizinga, Homo Ludens, Milano, Einaudi Editore, 1985, pp. 3-34.

[93] Silvio d’Amico, Storia del Teatro Drammatico, Milano, Aldo Garzanti Editore, 1960, pp. 7-14.

[94] Aristotele, Poetica, 6, 1449b 24-28, traduzione di M.Valgimigli.

[95] Robert Landy, Drammaterapia. Concetti, teoria e pratica, EUR, Roma, 1999.

[96] Lev S. Vygotskij, Psicologia dell’arte, Editori Riuniti, Roma, 1976.

[97] S. C. Stanislavskij, Il lavoro dell’attore, traduzione di E. Povoledo, Laterza, Bari, 1985.

[98] W. M. Dixon, Tragedy, London, University Press, 1925.

[99] Immanuel Kant, Critica della ragion pura: estratti; traduzione di Gustavo Bontadini, Brescia, Editrice La Scuola, 1994.

[100] Susanne Langer, Filosofia in una nuova chiave. Linguaggio, mito, rito e arte, Roma, Armando Editore, 1972.

[101] Donald Winnicott, Gioco e realtà, traduzione di Giorgio Adamo e Renata Gaddini, Roma, Armando, 1974.

[102] S. C. Stanislavskij, Il lavoro dell’attore, traduzione di E. Povoledo, Laterza, Bari, 1985.

[103] D. Diderot, Il paradosso sull’attore, traduzione di A. Moneta, Milano, Rizzoli Editore, 1960.

[104] S. C. Stanislavskij, Il lavoro dell’attore, traduzione di E. Povoledo, Laterza, Bari, 1985.

[105] Vezio Rugeri, “L’esperienza teatrale: inquadramento psicofisiologico”, in Informazione in psicologia, psicoterapia, psichiatria, n. 27, Roma, 1996, pp. 22-29.

[106] Sigmund Freud, Introduzione alla Psicanalisi, traduzione di Marilisa Tonin Dogana ed Ermanno Sagittario, Torino, Universale Scientifica Boringhieri.

[107] Sigmund Freud, Introduzione alla Psicanalisi, traduzione di Marilisa Tonin Dogana ed Ermanno Sagittario, Torino, Universale Scientifica Boringhieri.

[108] Catherine Belsey, “Peter Quince’s Ballad: Shakespeare, Psychoanalysis, History”, in Deutsche Shakespeare – Gesellschaft West Jahbruch, 1994, pp. 65-81.

[109]Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni, dodicesima ed., Roma, Collana Grandi Tascabili Economici Newton, Saggi, traduzione di Antonella Ravazzolo, Newton Compton, 2010, cap. 7, p. 482.

[110] Catherine Belsey, “Peter Quince’s Ballad: Shakespeare, Psychoanalysis, History”, in Deutsche Shakespeare – Gesellschaft West Jahbruch, 1994, pp. 65-81.

[111] Silvio d’Amico, Storia del Teatro Drammatico, Milano, Aldo Garzanti Editore, 1960, pp. 7-14.

[112] Luigi Pirandello, Sei Personaggi in Cerca d’Autore, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1972.

[113] Prima Lettera ai Corinzi, 2,14 e Prima Lettera ai Corinzi, 1,27.

[114] Jan Kott, “The Bottom Translation”, in The Bottom Translation: Marlowe and Shakespeare and the Carnival Tradition, translated by Daniela Miedzyrzecka e Lillian Vallee, Evanston, ill., Northwestern University Press, 1987, pp. 29-68.

[115] Prima Lettera ai Corinzi, 1,28

[116] René Girard, “Myth and Ritual in Shakespeare: A Midsummer Night’s Dream”, in Textual Strategies: Perspectives in Post-Structuralist Criticism, edited by Josué V. Harari, Cornell University Press, 1979, pp. 189-212.

[117] Northrop Frye, “A Midsummer Night’s Dream,” in his Northrop Frye on Shakespeare, edited by Robert Sandier, Yale University Press, 1986, pp. 34-50.

[118] Catherine Belsey, “Peter Quince’s Ballad: Shakespeare, Psychoanalysis, History”, in Deutsche Shakespeare – Gesellschaft West Jahbruch, 1994, pp. 65-81.

[119] David Lucking, “Translation and Metamorphosis in A Midsummer Night’s Dream, 2009, in Essays and Criticism 61/2, 137-SY.

[120] Jan Kott, “The Bottom Translation”, in The Bottom Translation: Marlowe and Shakespeare and the Carnival Tradition, translated by Daniela Miedzyrzecka and Lillian Vallee, pp. 29-68. Evanston, III: Northwestern University Press, 1987.

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